“Bellas Mariposas”.
Se fossi un critico cinematografico, uno tosto, con le palle
se fossi un critico cinematografico, uno di quei critici cinematografici che sanno tutto, ma proprio tutto, e sanno usare le parole giuste al posto giusto, e sanno usare gli aggettivi giusti al posto giusto, e sanno perché certe inquadrature sì e altre no, e sanno perché certi dialoghi sì e altri no, e sanno spiegare perché certi montaggi sì e altri no, e sanno anche spiegare perché il sonoro, perché il dettaglio, perché la fotografia, perché la soggettiva, perché i piani, perché le sequenze
io, se fossi un critico
se fossi un critico cinematografico, ma proprio di quelli veri, cresciuti a pane & Mereghetti
sarei persino un critico strafelice, perché sarei strafelice di raccontarvi con tante parole giuste e appropriate il film di Salvatore Mereu, “Bellas Mariposas”, che ho visto due volte, quasi di fila, e la prima volta che l’ho visto m’è piaciuto molto, la seconda volta m’è piaciuto anche di più, e mi sa che andrò a vederlo pure una terza volta.
Saprei scrivere cose meravigliose e senza tempo, su questo film.
Se fossi un critico.
Ma siccome non lo sono, un critico, io non ve lo so spiegare perché il film di Salvatore Mereu mi abbia fatto commuovere.
Le parole giuste, quelle a effetto, quelle che sanno di competenza, di sapienza cinefila, quelle che sanno di dottrina, di conoscenza cinematografica, è giusto che le cerchino altri.
Io non ne sono capace.
Una sola cosa mi viene da pensare: che un buon film è come una buona poesia, deve poter frodare il tempo e la realtà, deve saper ticchettare come pioggia sulle foglie, deve avere uno sguardo tollerante sulla vita.
In una buona poesia non c’è niente da comprendere. Si sa già tutto, una volta letta, e anche prima di leggerla.
Se qualcuno legge una buona poesia e non si avvede della grazia e dell’armonia, è perché ci mette troppa impazienza, o forse troppa presunzione.
Per me “Bellas Mariposas” è proprio così, una poesia di straziante bellezza.
Ci sono certe immagini, in questo film, certe sensazioni, certe voci, certi suoni, certi colori, che non si può
nemmeno per scherzo
non si può certo pensare di spiegarla, una poesia.
E poi, regola numero uno: è meglio scordarsi del racconto di Sergio Atzeni, una volta seduti al cinema.
Niente paragoni o sovrapposizioni. Non servono. Qui contano solo le carezze. Ruvide e genuine. Come Cate e Luna. Come le loro storie, i loro sogni. Carezze leggere. Gesti d’amore e di coraggio. Gesti silenziosi.
“Quando nuoto dimentico casa, quartiere, futuro, mio babbo, il mondo, mi dimentico di tutto. Dovevo nascere pesce“ …
16 Comments
riccardo
10 Dicembre 2012 at 19:52Ciao Giannixè!
Non ho ancora visto il film ma da quello che fa capire il tuo articolo (la smettiamo di chiamarli “post”!?) regge senz’altro il confronto con l’opera del maestro…
Sergio Atzeni, naturaliter (ogni tanto sforno un po’ di latino, sed solum cum amighixeddus)
Penso che il merito sia parecchio di quelle periferie bastarde ma anche molto poetiche in cui alcuni di noi hanno avuto la fortuna-sfortuna di crescere.
Entusiastica ammirazione per la tua frase: “Un buon film è come una buona poesia, deve poter frodare il tempo e la realtà.”
Grande Gianni, grande.
Salutone one one one.
Gianni
13 Dicembre 2012 at 15:38ciao Ricc!
grazie e buona musica a te!
corri a vedere il film, poi mi dici
🙂
Pingback:
3 Novembre 2012 at 08:02Gianni
5 Novembre 2012 at 10:24Grazie!
🙂
Claudia Loi
2 Novembre 2012 at 21:22Qua a Barcellona aspettiamo con ansia la prima del film fra un mese e mezzo. Per ora ascoltiamo e leggiamo le critiche discordanti che alimentano ancora di piú la curiositá. Un saluto Gianni.
Gianni
2 Novembre 2012 at 21:55Ciao Claudia! Come stai, come va dalle tue parti?
Qui dibattiamo, mi sembra il minimo. Basta non far scadere di tono il livello della discussione.
La mia opinione sul film già la sai.
Rispetto assoluto per chi la pensa in maniera diversa, ovvio. Mi lascia perplesso, invece, chi si agita per l’utilizzo dei fondi regionali destinati alla realizzazione del film. A mio parere bisognerebbe spenderne di più, e non di meno, di soldi, per aiutare la cultura, il cinema, l’arte, il teatro, la letteratura.
Un abbraccio
G.
brunella
29 Ottobre 2012 at 19:24anch’io vorrei essere un critico, per riuscire a raccontare e spiegarmi il senso di struggimento che non mi abbandona da ieri…
un abbraccio,ma forte.
Gianni
29 Ottobre 2012 at 19:28Ciao Brunella!
Come ha detto Rossana Copez commentando il film: “il giorno dopo te lo tiri appresso, occupa i tuoi pensieri, rivedi immagini e dialoghi”.
Un abbraccio a te.
anonimo
29 Ottobre 2012 at 09:27Bravo Gianni, mi hai fatto venire voglia di vedere il film, l’astioso e invidioso Biolchini invece….
Gianni
29 Ottobre 2012 at 10:03Ciao Anonimo, grazie!
Ma no, l’amico Vito non è astioso e invidioso, penso che a lui il film non sia piaciuto, e basta. I giudizi sono sempre molto soggettivi.
Vito, a differenza di altri, almeno ha spiegato perché non gli è piaciuto.
http://vitobiolchini.wordpress.com/2012/10/28/bellas-mariposas-che-non-spiccano-il-volo-perche-mereu-doveva-puntare-tutto-sulla-lingua-non-sulla-storia-tratta-dal-racconto-di-atzeni/
Beatrice
29 Ottobre 2012 at 07:55E io mi son commossa nel leggere le tue parole.
Gianni
29 Ottobre 2012 at 09:56grazie Beatrice, il merito è tutto di Sergio Atzeni e di Salvatore Mereu.
🙂
Andrea Mameli
26 Ottobre 2012 at 22:08http://linguaggio-macchina.blogspot.it/2012/10/lo-schianto-sul-muro-e-leffetto-cinema.html lo voglio rivedere anch’io!!
maurizio manzo
26 Ottobre 2012 at 19:47sì, la voglia di vederlo è tanta, e questa “non-recensione” invita non poco…bella la citazione finale, avevo gia condiviso la clip, una delle prime a circolare.
un saluto
mm
Eliana Littarru
26 Ottobre 2012 at 12:11L’accattivante penna di Gianni Zanata ci lascia col fiato in sospeso e scatena una voglia matta di vedere il film.
Anonimo
26 Ottobre 2012 at 18:56domenica ci vado sicuramente…