L’ultima inquadratura prima dei titoli di coda.
Questa mattina mi sono alzato che eran già le cinque, cinque e qualcosa.
Sono uscito che eran già le sei, sei e qualcosa.
Pioveva. Veniva giù un’acquerugiola fresca.
Son salito in macchina, ho fatto tre semafori rossi. Non c’era nessuno per strada, a parte me, ad aspettare che diventassero verdi, i tre semafori rossi, sotto l’acquerugiola fresca.
Al quarto ho dato un’occhiata allo specchietto retrovisore. Due fari che si avvicinavano lenti. L’auto s’è fermata poco distante.
Dentro c’erano tre ragazze. Parlavano e ridevano. Sembravano felici. Forse di rientro da una notte passata in discoteca. O in qualche locale, chissà. Tre ragazze che parlavano e ridevano. Ho provato a immaginare. Età, nomi, amicizie, affetti, parentele, storie, ricordi, amori, gioie, dispiaceri.
Il semaforo ancora rosso. Lo sguardo incollato allo specchietto retrovisore. Le tre ragazze adesso cantavano. Non potevo sentirle, i finestrini chiusi, il ronzio del motore. Ma stavano cantando. A squarciagola. Ridevano e cantavano.
Sempre rosso. Un’infinità.
E non lo so. Non lo so quant’è che son rimasto lì a guardarle.
Però di colpo m’è salito un rigurgito di buonumore. E ho pensato che fosse la scena di un film: piano sequenza, assenza di sonoro, la camera che stringe sui visi delle ragazze, si sposta lateralmente, esterno, pioggia che scivola sul parabrezza, dissolvenza al nero.
Un finale, insomma. L’ultima inquadratura prima dei titoli di coda.