Come se nulla fosse.
Si tratta di licenziamenti annunciati da tempo, è vero.
Eppure.
Eppure le lettere recapitate oggi a tre miei colleghi sono lettere che fanno molto, ma molto male. E non potrebbe essere altrimenti. Fanno affiorare tanti stati d’animo, tutti in una volta. Davvero troppi, per poterli gestire con lucidità e freddezza.
Marilena, Maurizio, Angelo: compagni di lavoro, compagni di una battaglia per il rispetto della dignità umana, oltre che per la difesa di diritti che dovrebbero essere inalienabili, come il diritto all’informazione, all’occupazione, alla giusta e puntuale retribuzione.
È una battaglia che abbiamo combattuto e perso, usando ogni arma a nostra disposizione. L’arma della protesta pubblica, innanzitutto. Dai toni civili, ironici, creativi. Una protesta con il sorriso sulle labbra, mi verrebbe da dire. Sempre propositiva.
È una battaglia che abbiamo perso perché chi avrebbe potuto/dovuto fare qualcosa per salvaguardare quei diritti di cui sopra ha preferito tacere, far finta di nulla o, peggio ancora, agevolare la condotta scellerata della controparte.
È una battaglia che abbiamo perso perché è così che doveva andare a finire, così era scritto fin dall’inizio. Forse.
Oggi sappiamo che molte cose per le quali si è sempre detto “non si può fare, non è consentito”, invece sì, si possono fare, è consentito. Che non vi sfugga, questo dettaglio.
Per esempio, oggi sappiamo che un’azienda editoriale, un’azienda che ha una storia lunga trent’anni, un’azienda che prevalentemente produce informazione (uno dei beni più sensibili per il corretto funzionamento di una società e di una democrazia) può essere ceduta per quattromila euro (4.000) da un imprenditore/editore/banchiere a un gruppo di persone che per lo più non hanno alcuna garanzia o solidità patrimoniale, come se nulla fosse.
Bene, si può fare.
Per esempio, oggi sappiamo che un’azienda editoriale (sempre la stessa) può non pagare gli stipendi per mesi, non versare i contributi volontari dei suoi dipendenti, non versare le quote TFR al fondo pensioni, e però continuare a essere foraggiata con ingenti somme di denaro pubblico, come se nulla fosse.
Bene, si può fare.
Per esempio, oggi sappiamo che un’azienda editoriale (sempre la stessa) può decidere, con atti unilaterali, di disconoscere e di non voler più applicare i contratti collettivi di lavoro, come se nulla fosse.
Bene, si può fare.
Per esempio, oggi sappiamo che un’azienda editoriale (sempre la stessa) può decidere di licenziare metà del personale e, nel contempo, decidere di avvalersi di lavoratori precari, collaboratori esterni e agenzie di discutibile affidabilità per la produzione di notiziari o programmi di natura giornalistica, come se nulla fosse.
Bene, si può fare.
Per esempio, oggi sappiamo che un’azienda editoriale (sempre la stessa) che dal punto di vista finanziario si regge grazie agli aiuti di Stato e Regione, all’incirca la metà del fatturato, può fare queste e tante altre cose senza che nessuno muova un dito. Appunto, come se nulla fosse.
Bene, ne prendiamo atto e ringraziamo i tanti “nessuno” che avrebbero dovuto/potuto muovere il dito.
Ora altre lettere, altri licenziamenti seguiranno. Come da procedura. Come da copione.
La farsa sta per terminare, speriamo. E ci sarebbe proprio da ridere, se non stessimo parlando di compagni e di colleghi che pagano con il prezzo più alto, la perdita del lavoro, le storture di un sistema beffardo che, anziché premiare le professionalità e le qualità, avvantaggia avventurieri della peggior razza, gonfi di mediocrità, inaffidabili e persino un po’ patetici.
Anzi, no. Ci ho ripensato.
Sono andato a rileggermi la definizione di “patetico” nel vocabolario della Treccani.
Patetico, agg. [dal lat. tardo pathetĭcus, gr. pathētikós, der. di páthos “sofferenza”] – [che suscita commozione, mestizia, compassione: un romanzo, un film p.] commovente, malinconico, mesto, toccante, triste.
No, altro che páthos. Quella gente lì non è mica patetica. Quella gente lì non suscita belle emozioni.
Ecco, non lo so, ma io un altro aggettivo l’avrei pure trovato.
Però no. È meglio di no.
La foto è di Nico Massa per il progetto
“Chi vuole spegnere l’informazione?”
11 Comments
Andrea Murru
11 Giugno 2014 at 12:03Non so quanto possa essere utile a voi, ma a me è stato utile! Durante il sequestro dell’On. Moro da parte delle BR, molti dissero che la politica non operò nessuna scelta, lasciando che gli avvenimenti giungessero alle conclusioni che ben conosciamo. Ebbene vi fu qualcuno, non ricordo chi, che contrastò una simile lettura e, secondo me a ragione, disse che l’allora classe dirigente dell nostro Paese “decise di non decidere”, ecco la scelta. Credo che ora, come allora, la politica abbia deciso di non decidere e che questo tipo di atteggiamento sia da considerare fra le manifestazioni peggiori che contraddistinguono certa politica.
Daniela pettinau
9 Giugno 2014 at 16:37Solidarietà ai tuoi colleghi. Non ci sono molte altre parole. È un paese marcio che va allo sfascio.
Mi dispiace tanto.
mirella
1 Giugno 2014 at 08:16Mi spiace. Anch’io sto vivendo una storia simile. Da noi nessuno verrà licenziato, si aspetta che vadano in pensione e a chi resta aumenta il lavoro. Non ci sono soldi, dicono sempre. Poi acquistano questo, acquistano quello, affittano quell’altro, spendono per altre cose, non investono mai sul personale.
La colpa però non è della dirigenza, a cui vien facile attribuire aggettivi di ogni sorta, ma di chi, al governo, ha varato leggi che danno troppo potere ai dirigenti, senza alcun controllo. Parlo della famigerata legge brunetta, di cui chiunque dovrebbe vergognarsi ma nessuno, dico proprio nessuno, abolisce. La ministra giannini, per esempio, se da un lato dice che chi assume parenti verrà cassato, dall’altro dice che i dirigenti potranno assumere chi vorranno.
La tua storia, la mia storia, non sono altro che il prodotto di un governo italiano marcio e corrotto, che ha premiato i disonesti e causato disoccupazione e impoverimento. Lo sappiamo tutti.
Ma in concreto, che possiamo fare? Nemmeno io lo so. Anche i tagli ai distacchi sindacali servono allo scopo di ridurre i diritti dei lavoratori e ci troviamo senza appoggi.
Bisognerebbe che i signori come Pigliaru e Sanna, di nomina fresca, prima di omaggiare i potentati dei circondari, ascoltassero chi sta alla base, chi regge davvero le sorti di una azienda o di una istituzione, chi la manda avanti giorno dopo giorno nonostante le vessazioni, la noncuranza, l’ipocrisia.
Perché non si risolva ancora una volta con una stretta di mano tra potentati, potremmo chiedere proprio questo a Francesco Pigliaru e Nicola Sanna: che è arrivato il momento di ascoltare i lavoratori, quelli veri. Senza di noi, la Sardegna (e l’Italia intera) può solo bruciare.
Un abbraccio. m.s.
gibi puggioni
31 Maggio 2014 at 23:49Caro Gianni, mi dispiace molto per i colleghi licenziati e sono anche incazzato. Tutte le tue argomentazioni su quanto è stato consentito di fare alla proprietà di Sardegna 1 sono da me ampiamente condivise. Anzi, se vai a rileggerti i commenti sul tuo blog probabilmente ne troverai anche uno mio molto critico soprattutto nei confronti del sindacato. Un’azienda che non versa i contributi Inpgi e viola impunemente tutte le norme del contratto di lavoro non avrebbe dovuto ricevere finanziamenti pubblici. In questo caso la responsabilità è stata della parte politica nel più totale disinteresse di chi deve tutelare i lavoratori. Un abbraccio Gibi
Gianni
1 Giugno 2014 at 10:41Grazie Gibi, un abbraccio grande a te.
Maria Antonietta
31 Maggio 2014 at 09:45È proprio così Gianni. Nell’editoria come nella formazione. Anche nella nostra esperienza gli enti resistono o rinascono, incuranti di coloro che hanno messo in cassa o hanno licenziato, a cui devono sette o otto mensilità arretrate, TFR e contributi non versati da 10 anni. Poi si fanno leggi per tentare di risolvere la situazione di lavoratori e famiglie ma gli uffici non le applicano incuranti di tutto e in faccia a tutto e a tutti organo legislativo e organo giudiziario compresi!!!
http://www.regione.sardegna.it/j/v/491?s=256538&v=2&c=1489&t=1
Gianni
31 Maggio 2014 at 13:13Maria Antonietta, bisogna approfondirla questa cosa della formazione.
E non dobbiamo smettere di denunciare o di informare su quanto accade.
Maria Antonietta
31 Maggio 2014 at 17:55Da anni cerchiamo di aprire un varco, di porre tutto all’attenzione della stampa ma ti assicuro che vengono riservati piccoli spazi che descrivono le lotte di un resto di lavoratori mentre ci sarebbe materiale per scrivere libri e per aprire inchieste.
Vogliono prenderci per stanchezza e in alcuni momenti ho paura che ci riusciranno.
Geronimo Carreras
9 Giugno 2014 at 16:38Ci stiamo provando… con tanto dispendio di energie e molto spesso con un pugno di mosche in mano.
Ma, forse, TRE LEGGI sono più facili da disattendere che da attuare!
Federico
30 Maggio 2014 at 19:44Per alcuni il DURC è più uguale che per altri. E non si sa come, la pubblica amministrazione non ha difficoltà nei pagamenti.
Gianni
31 Maggio 2014 at 13:17Federico, infatti il Durc di Sardegna 1 è a posto. Gli stipendi non li pagano, ma i contributi previdenziali (non quelli volontari, quelli obbligatori) li pagano eccome.
Furbi, non scemi.