Eugenio.
Penso che sarebbe una bella cosa se, come prassi, in un qualsiasi momento della giornata, alla mattina, alla sera o al pomeriggio, ci fermassimo a regalare o a declamare, a cantare, a sussurrare, a scrivere, a copiare o a suonare una poesia.
Una sola. Ognuno di noi. Basterebbe.
Sull’autobus, al semaforo, al mercato, a scuola, in chiesa, a letto, al bar, alle poste, in cimitero, in spiaggia, in montagna, dal gommista o in ascensore.
Una poesia. Una sola. Da regalare. O da ricevere in regalo.
Sarebbe bello, sì.
M’è venuto da pensare questa cosa perché qualcuno mi ha ricordato che trentuno anni fa moriva a Milano Eugenio Montale, premio Nobel per la letteratura nel 1975.
Montale aveva 85 anni, era nato a Genova
Il sogno del prigioniero
“Albe e notti qui variano per pochi segni.
Il zigzag degli storni sui battifredi
nei giorni di battaglia, mie sole ali,
un filo d’aria polare,
l’occhio del capoguardia dallo spioncino,
crac di noci schiacciate, un oleoso
sfrigolìo dalle cave, girarrosti
veri o supposti – ma la paglia è oro,
la lanterna vinosa è focolare
se dormendo mi credo ai tuoi piedi.
La purga dura da sempre, senza un perché.
Dicono che chi abiura e sottoscrive
puo salvarsi da questo sterminio d’oche ;
che chi obiurga se stesso, ma tradisce
e vende carne d’altri, afferra il mestolo
anzi che terminare nel pâté
destinato agl’Iddii pestilenziali.
Tardo di mente, piagato
dal pungente giaciglio mi sono fuso
col volo della tarma che la mia suola
sfarina sull’impiantito,
coi kimoni cangianti delle luci
sciorinate all’aurora dai torrioni,
ho annusato nel vento il bruciaticcio
dei buccellati dai forni,
mi son guardato attorno, ho suscitato
iridi su orizzonti di ragnateli
e petali sui tralicci delle inferriate,
mi sono alzato, sono ricaduto
nel fondo dove il secolo è il minuto –
e i colpi si ripetono ed i passi,
e ancora ignoro se sarò al festino
farcitore o farcito. L’attesa è lunga,
il mio sogno di te non è finito“.
Da “La Bufera e altro” (1956) di Eugenio Montale.
foto da treccani.it