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Quaderni del coprifuoco (6)

Quaderni del coprifuoco (6).

Arturo mi osservava mentre me ne stavo seduto a contemplare il niente dei miei pensieri davanti a una serie di piccoli quaderni dalla copertina gialla e blu, come la maglia dell’Hellas Verona, quella che i calciatori indossano quando giocano in casa, che in trasferta le maglie, tutte le maglie, fanno un po’ cagare. Prima non era così. C’erano le maglie belle, non solo in casa, anche in trasferta. Forse erano tutte belle perché sulle maglie c’era solo lo stemma della squadra, nemmeno una pubblicità, nemmeno il nome del calciatore. E infatti li dovevi conoscere molto bene, i calciatori, per individuarli dagli spalti. Secondo me i radiocronisti di una volta se li inventavano, i nomi dei calciatori. Tanto chi se ne accorgeva. Poi sono arrivate le telecronache, e i telecronisti dovevano avere una vista ottima, non potevano certo fare figure di merda, scambiare un calciatore per un altro, perché chi guardava il televisore avrebbe avuto motivo di protestare, caso mai il telecronista si fosse confuso tra un calciatore e l’altro.

– Spero che non stia perdendo tempo dietro qualche koan o quel genere di stronzate zen – ha detto Arturo.
– Senti qua – gli ho detto – “L’acqua troppo pura non ha pesci”. Che te ne pare?
Arturo ha sollevato un sopracciglio.
– È una stronzata zen – ha commentato.
Ho fatto un movimento così con la mano. Come a dire: non discuto, sarebbe fiato sprecato.

Dopo un po’ mi è venuta in mente una cosa.
– Senti un po’ – gli ho detto.
– Che c’è.
– Domani posso portare Marcel Proust al corso di meditazione?

Arturo ha chiuso gli occhi, ha fatto un respiro molto profondo e non ha detto nulla. E quando Arturo chiude gli occhi, fa un respiro molto profondo e non dice nulla, non è un buon segno.
Ho fatto di nuovo quel movimento così con la mano, ma più accentuato. Come a dire: non discuto, sarebbe fiato sprecato e comunque non ne capisci un cazzo, di koan.

In quel frangente, Marcel Proust è entrato nella stanza. Aveva le orecchie dritte e in bocca stringeva un gatto di pezza. Mi ha guardato di traverso.
– Non ti ci mettere pure tu, eh – gli ho detto. – Sappi che stai scivolando con molta rapidità sul fondo della lista solstiziale delle antipatie.

Poi ho messo su un disco di Fats Waller, e la cosa è finita lì.







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