Carteggi (30)

Carteggi (30).

Ciao,
in genere preferisco non andare a capo, ma oggi mi è preso così, sarà per via del frastuono che invade ogni spazio, fuori e dentro casa, un rumore così assordante che non riesco nemmeno a sentirmi pensare. Oh, so bene che per te non fa differenza alcuna. Chiasso o silenzio che sia, la ginnastica mentale non è mai stata il tuo forte. Ora, che tu ci creda o meno, questo è un problema. Perché vorrei poter dire che non me ne frega niente di ciò che pensi, se solo avessi pensieri, anche uno solo del quale potermi disinteressare. Invece no. Mi lasci sempre con un palmo di naso. Ogni intenzione abortita. Tra l’altro mi basterebbe poco, il tanto per non immaginarti con quell’aria da martire che ti tiri sempre dietro facendola strisciare al suolo. Sì, a volte sai essere davvero ributtante. E, se fossi in te, non ne farei un motivo di vanto. Ci sono momenti in cui vorrei che mi persuadessi che non ti servi di questa tua inclinazione naturale soltanto per sentirti superiore agli altri o per appagare il tuo desiderio di banalità. Mi piacerebbe davvero. Ma so che non accadrà mai. Pazienza. Come ha scritto una volta Jane Austen: Lasciamo fare al tempo. A dire il vero, non so se l’abbia scritto proprio Jane Austen. Potrebbe averlo scritto chiunque altro. Tutti ormai scrivono di tutto. Di niente, più o meno. E devo confessarti che mi sorprende non poco il fatto di aver citato Jane Austen. Non è assurdo? Da dove è saltata fuori? Che cosa mai ho da spartire con Jane Austen? Puoi anche evitare di rispondere, non saprei che farmene di una tua risposta. Anzi, fai conto che non abbia domandato nulla. Nell’incertezza dell’istante, in quell’attimo che precede ogni parola dura, ogni rimprovero implicito, avrei preferito scriverti due versi: Metti il tuo cuore su un piatto e guarda chi lo ferirà / Guarda chi ti abbraccerà e ti darà il bacio della buona notte. Non sono versi miei, è evidente. Di chi siano, ha poca importanza. E comunque, chi mai avrebbe l’ardore di mettere il proprio cuore su un piatto? No, non tu, questo è sicuro. Io? Ma no, l’ho già fatto. Una volta sola è sufficiente. E poi ho imparato la lezione: gli altri parlano, parlano e parlano, e mentre parlano li osservo, e tutto ciò che dicono mi sembra inutile o retorico, perfino le loro facce sembrano inutili o retoriche, le loro mani, le loro orecchie, i loro gesti, i loro ammiccamenti. Li lascio parlare fino a che si confondono. E se piove, sto immobile. Guardo il movimento vorticoso della pioggia trascinata dal vento. Sollevo un sopracciglio. Sorrido.





Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

UA-77195409-1