Carteggi (29).
Ti scrivo perché ho necessità di raccontarti un paio di cose, non proprio un paio, più di un paio, almeno quattro o cinque, diciamo cinque, per essere precisi. Tieni tu il conto, mi fido.
Qui fa molto freddo. Ho acceso la stufa ma dopo venti minuti si è rotta. Non so che cosa sia successo. Non mi intendo di stufe. Se mi intendessi di stufe non starei qui a lamentarmi che ho la stufa rotta. Ho chiamato il vicino, gli ho chiesto se si intendesse di stufe. Mi ha chiesto perché. Gli ho detto che la mia stufa si era rotta e non sapevo come ripararla. Lui mi ha detto che non si intende di stufe ma conosceva un tizio, il fratello di un suo collega, che una volta era rimasto folgorato da una scarica elettrica mentre riparava una stufa, lo avevano portato al pronto soccorso ma non c’era stato niente da fare, il tizio era morto e due giorni dopo era stato sepolto, era stato anche un bel funerale, a quanto gli aveva raccontato il collega. Gli ho detto che la mia non è una stufa elettrica. Allora lui ha detto mi dispiace ma non saprei come aiutarti.
A proposito del freddo, l’altra mattina ho incontrato un uomo, giù al porto. Aveva la barba lunga e non curata, i capelli brizzolati raccolti in una coda, camminava scalzo sui lastroni di cemento nella piazza davanti alla banchina, andava avanti indietro, stringeva tra le mani una bottiglia e parlava da solo a voce alta. Di tanto in tanto si rivolgeva ai passanti, li invitava a guardare il cielo. “Toh! Ecco Dio!”, diceva, “Lo vedete?”. Poi, utilizzando la bottiglia a mo’ di microfono, ha iniziato a fare l’imitazione di Mike Bongiorno. “Allegria! Allegria!”. Una ragazza gli è passata accanto e lui le ha chiesto “Come ti chiami?”. Lei non l’ha nemmeno guardato, ha tirato dritto per la sua strada. “Ma come ti chiami? Eh? C’è la luce nei tuoi occhi. C’è la luce lassù. Bisogna sorridere. Sorridi! Sorridete! Guardate che luce! Accendi la luce, babbo. Dov’è il bagno? Gira l’angolo. In fondo a destra, alla fine del corridoio. Accendi la luce, altrimenti sbatti contro il muro. Vero, babbo? Non fare confusione. Siamo illuminati. Aprite le finestre! Il sole non c’è più. Aprite gli ombrelli! Tanto non piove. Allegria! Allegria!”.
Mi hanno regalato un libro di poesie di un autore giamaicano, Samuel Grant. Si intitola “Tossire”. Mi hanno colpito alcuni versi: “Una visita inattesa / tre gabbiani nel giardino / sembrano disertori / errabondi si nutrono di riso / e formaggio / la radio in cucina / è spenta / bellezza improvvisa / sapori di biancospino / un guasto nell’ingranaggio / un equivoco si agita / risalgo la china”.
Adesso devo andare. Non è tardi – non per me – ma è solo un punto di vista, niente di più. Ci sono giorni che vanno così, non saprei, sembrano rotolare verso il niente. Questo mi premeva dirti, soprattutto. Se hai tenuto il conto delle cose che avevo da raccontarti, non ti saranno sfuggiti i particolari. Ed è una buona notizia, no?
Affettuosità e benevolenza.
N.