Carteggi (5).
Ciao, ti scrivo per dirti che non mi sono affatto dimenticato di te. Puoi credermi. Come potrei dimenticarmi di te e delle stelle marine appese ai tuoi stivali? O di quel tuo cappello a forma di Giorno Del Giudizio? Ogni tanto faccio degli strani sogni, e in questi sogni le stelle marine mi parlano, ma io non capisco. Poi mi metto un fucile in spalla e vado a caccia di orsi. Sono orsi bruni che indossano stivali, ma senza stelle marine. Non ti sembra singolare? Quando ci ripenso, mi rendo conto di quante occasioni abbiamo perso per capire come stavano effettivamente le cose. Non tutte le cose, solo alcune, le più interessanti, le meno sconvenienti, al massimo le più melliflue. Come potrei dimenticarmi di te e delle tue fibbie grandi come attizzatoi roventi? Mi ricordo di quella volta che andammo a passeggio nel parco – la mattina avevano seppellito il vicino di casa, i giornali dicevano che la moglie lo avesse soffocato nel sonno con un sacchetto di caramelle alla liquirizia – e a un certo punto tu iniziasti a ballare intorno ai tigli e la tua gamba destra prese a muoversi a scatti, come fanno i nervi post mortem. Fu divertente, per quanto nessuno di noi quel giorno avesse intenzione di divertirsi, tantomeno i figli del vicino di casa. Quando ci ripenso mi viene un nodo alla gola, forse è soltanto un problema di reflusso gastrico, dovrei andare dal medico, ma non ho mai sopportato le sale d’attesa, i bimbi che strillano e i vasi di terracotta negli anditi degli ambulatori. Già. Non potrei mai dimenticarmi di te. Ciò che non mi è chiaro, tuttavia, è perché abbia deciso di scriverti. Non lo so. In tutta sincerità, penso di essermene dimenticato. Ciao, a presto.