Cartesio, Ustica, Bob Dylan e il Poetto.
Giugno, 1980.
Ieri sera, mentre provavamo i pezzi per la festa al circolo degli ex marinai, una festa per anziani, qualche parente e un pugno di militari in pensione, e mi domandavo se non fosse opportuno cambiare la scaletta, che va bene Lucio Dalla e Bennato ma i Dire Straits e i Rolling Stones mi sembrano poco adatti alla serata, mentre Robi svisava strano sulle corde nuove della Les Paul, Ciccio batteva fuori tempo sul rullante e Antonello si aggrappava alla tastiera del basso, un basso brutto e mal ridotto che tutti chiamavamo La Zappa, mentre ero lì, chitarra in grembo, e trafficavo per accendermene una, a un certo punto si è avvicinato Sandro. Prima mi ha scroccato una Camel e poi mi ha detto: “Ma tu, come te l’immagini il 2016?”.
Razza di domanda.
“Mancano trentasei anni, al 2016”, gli ho detto. “Non riesco a immaginarmi nemmeno il 1983. O il 1985. Figurarsi il 2016”. Sandro ha fatto sì con la testa. “Oh, c’hai ragione”, ha detto. E c’ho ragione sì, ho pensato.
E l’ho pensato anche stamattina, una di quelle mattine afose di giugno che quando a Cagliari fa così caldo e il cielo è sempre un po’ meno azzurro e si soffoca, l’unica cosa da fare è andarsene al Poetto, stare un’ora a mollo e poi sdraiarsi sulla sabbia all’ombra di qualche casotto. Mi sono detto che non lo so proprio, come sarà il mondo nel 2016, quando sarò un uomo anziano. Non so niente e del futuro non me ne frega un cazzo. L’unica cosa che so, pur non sapendo niente del futuro, è che questa mattina di giugno sarà una mattina difficile. Lo sapevo anche ieri, ma la certezza ce l’ho adesso che guardo la bacheca dove sono esposti gli esiti di fine anno scolastico.
Classe quarta, sezione G. Scorro fino alla penultima riga. Matematica: quattro. Filosofia: cinque. Rimandato a settembre. Matematica, e va bene, ci sta, niente da dire. Ma Filosofia. Cinque. E che cazzo. Cartesio lo conosco quasi a memoria.
Torno a casa. Vado in camera, mi giro una canna. Poi prendo l’elettrica e mi metto a strimpellare. Due accordi. Sol maggiore e Fa maggiore. Poi un terzo. Re maggiore. Sempre gli stessi. In sequenza. E anche un La minore. Cinque in filosofia, penso. E che cazzo.
Esco, vado in via Roma, alla Casa del Disco. C’è Stefano alla cassa. Mi guarda con quel suo sguardo triste, velato da un mezzo sorriso ironico. Gli chiedo “Non è che arrivato l’ultimo di Bob Dylan?”. Glielo chiedo con un’espressione così speranzosa e supplicante che a Stefano gli scappa una risata a monosillabo. “Non ancora”, mi dice, “forse domani, chi lo sa”. Domani, penso. Cazzo. “Forse stasera”, fa lui sollevando le spalle. Stasera, sospiro.
Il nuovo disco di Bob Dylan. Che s’è convertito al cristianesimo. Che canta Dio e Gesù. Che canta canzoni gospel. Che tra una canzone e l’altra fa discorsi sul diavolo, l’Armageddon e la potenza della Croce. Che sta due ore sul palco a suonare e cantare canzoni inedite. Che come a Newport la gente lo contesta, lo fischia e gliene dice di tutti i colori mentre lui è lì, davanti al microfono, impassibile, la chitarra a tracolla come fosse un fucile. Bob Dylan che non canta più le canzoni del passato. Che nemmeno canta più le canzoni di “Street Legal”, uscito un paio d’anni fa.
Queste cose le ho lette l’altro giorno sul nuovo numero di Ciao 2001, settecento lire, l’anno scorso ne costava seicentocinquanta, che già mi sembravano molte, seicentocinquanta, figurarsi settecento.
“Va bene”, gli dico, “passo stasera”. Al che Stefano scuote la testa, si mette a ridere, infila una mano sotto il bancone e tira fuori il nuovo disco di Bob Dylan.
“Saved”. Salvato.
E non vedo l’ora di tornare a casa e di ascoltare il nuovo disco, non vedo l’ora di sentire la sua voce, ché qualsiasi cosa Dylan abbia deciso di cantare, a me sta bene, giuro. Dio, Gesù, il paradiso, l’intero Vangelo: non mi interessa. Voglio solo sentire le sue canzoni, la sua voce e la sua armonica.
“Saved”. Salvato.
‘Fanculo matematica e filosofia. ‘Fanculo Cartesio, ‘fanculo giugno. E ‘fanculo anche il 2016.
Poi, mentre corro verso casa, a un certo punto mi volto e non so come ma lo sguardo cade dritto sullo strillo di un quotidiano in edicola. Dc-9 dell’Itavia con 81 persone s’inabissa in mare presso Ustica. Era partito ieri sera da Bologna diretto a Palermo. Compro il giornale. Leggo gli articoli. Una cosa assurda: come può succedere che un aereo si inabissi così, senza un motivo? Leggo e rileggo. E non so perché, ma questa cosa di Ustica mi fa tornare in mente il 2016. Ci ripenso anche a casa, con il trentatré giri che suona le nuove canzoni di Bob Dylan.
Mi viene da pensare che nel 2016 gli aerei non cadranno più, non ci saranno più guerre, non ci saranno più ingiustizie, il PCI sarà il primo partito in Italia, Mick Jagger sarà il primo ministro britannico, la benzina sarà gratis per tutti, il Cagliari vincerà un altro scudetto, la disco music sarà morta da un pezzo, basterà una pastiglia per non ammalarsi di cancro, nelle scuole si studieranno le canzoni di John Lennon e Bob Dylan sarà ancora in tournée. Mi viene da pensare che nel 2016 staremo meglio.
Nel 2016 lo sapremo già da un pezzo, perché quel Dc-9 si è inabissato.
Forse. Nel 2016.