Ci deve essere un guasto.
Influenza. Chiuso in casa. Letto, divano, sciroppo, vitamina C, smartphone e computer. Solito contorno di malessere diffuso, fastidioso come un ronzio persistente.
Allora mi metto a scrivere. Ma i ragionamenti e i concetti faticano a trovare forma e sostanza.
Nulla. Non viene niente.
Forse è per via dell’influenza, penso.
Poi mi imbatto in un articolo di Annamaria Testa su internazionale.it dal titolo “Niente idee? Fate due passi”.
Leggo.
“La Bolla di nebbia è insidiosa e maledetta. Uno se la trova davanti all’improvviso. (…) Chiamo Bolla di nebbia il vuoto lattiginoso che qualche volta mi si apre in testa mentre comincio a lavorare, e a volte mentre già sto lavorando, su un’idea che fino a un nanosecondo prima mi sembrava buona. (…) Quando l’ispirazione svanisce nella fetida bolla di nebbia (…) la soluzione migliore e più economica è riconoscere che svanire è un suo diritto e fa parte della sua natura. E poi: mollare il colpo e fare qualcos’altro. Va bene camminare, farsi una doccia, pelare le patate, guidare, ma non nel traffico e non velocemente”.
Bene, penso. Anzi, non va affatto bene.
Doccia già fatta. Niente patate. Guidare nel traffico no.
Non resta che camminare, fare due passi. Dentro casa, però, ché ho l’influenza e non posso uscire.
Bene, penso. Bene, si fa per dire.
Mi alzo dal letto, faccio due passi, proprio due, e mi ritrovo davanti allo specchio. Santo cielo. Ma guarda un po’ in che stato ci si può ridurre, quando si sta in casa e si ha l’influenza, penso, mentre mi guardo allo specchio, proprio in uno stato tale che uno non se lo immagina, se non si sta chiusi in casa e non si ha l’influenza, in che stato ci si può ridurre, ché se pure uno se lo immagina, lo stato, di sicuro non se lo immagina nei dettagli, non se lo immagino fin tanto che non lo scopre, in che stato ci si può ridurre, penso.
E via altri due passi.
Mi ritrovo davanti alle pile di libri impilati nella libreria che guardo con aria rassegnata pensando ai parecchi libri tra quelli impilati che ancora devo leggere, e allora ne tiro giù uno, di libro, inizio a sfogliarlo, leggiucchiarlo, poi lo metto da parte, ne tiro giù un altro, inizio a sfogliarlo, leggiucchiarlo, poi lo metto da parte, ne tiro giù un altro ancora, inizio a sfogliarlo, a leggiucchiarlo, e così via, finché non scopro che s’è formata una piccola pila di libri impilati che guardo con aria rassegnata pensando all’infelicità delle pile di libri impilati che attendono di essere letti, non solo sfogliati e leggiucchiati.
E via altri due passi.
Accendo il televisore. Appare il volto di un politico. Poi di un altro. E di un altro, di un altro ancora. Ma non capisco. C’è qualcosa che non va, penso. Sì, c’è qualcosa che non va. Appare il volto di un politico. Poi di un altro, di un altro ancora. E di colpo lo so che cos’è che non va. Va che non sento niente. Niente di niente. Appare il volto di un politico, di un altro, di un altro, di un altro, di un altro ancora. Ma continuo a non sentire niente. Continuo a non capire. E di colpo lo so che cos’è che non va. Va che non c’è volume. Va che non c’è volume. Perciò non sento. Aumento il volume. Aumento il volume. Aumento il volume. Va che non sento niente. Aumento il volume. Aumento il volume. Aumento il volume. Va che non sento. Va che non sento niente. Appare il volto di un politico. E di un altro, di un altro, di un altro, di un altro ancora. Ma c’è sempre qualcosa che non va. Va che continuo a non sentire niente. Va che continuano ad apparire gli stessi volti. Di un altro, di un altro, di un altro, di un altro ancora. Sempre gli stessi, sempre nella stessa sequenza. Va che non sento. Un altro, un altro, un altro, un altro ancora. Va che non sento niente. Non capisco. Non sento e non capisco. Aumento il volume. Aumento il volume. Aumento il volume. Va che continuo a non sentire niente, a non capire.
Allora mi avvicino al televisore e glielo spiego, gli spiego che non riesco a capire, non riesco a sentire. Non capisco, non sento niente.
Un altro, un altro, un altro, un altro ancora. Sempre gli stessi. Sempre nella stessa sequenza.
Va che non vi sento, non vi capisco, dico al televisore.
Va che non vi sento, non vi capisco.
Va che non vi sento, non vi capisco.
Va che non vi sento, non vi capisco.
Niente.
Non sento. Non capisco.
Niente.
Spengo il televisore. Ci deve essere un guasto, penso.
Un guasto.
Così me ne torno a letto.
Però mi ha fatto bene far due passi, penso.