Cose che ho pensato (trentasei).
201.
Una volta ho pensato di essere il nipote di Jean Gabin. Una mattina ero partito per Parigi, volevo andare a visitare la tomba dello zio Jean. Poi, una volta arrivato a Parigi, avevo cercato qualcuno che mi indicasse il cimitero dov’era sepolto. Al Père-Lachaise avevo incontrato una signora anziana, una donna dal viso affilato e con un enorme cappello di lana rossa. Lei mi aveva detto che Jean Gabin era stato cremato e le sue ceneri erano state gettate in mare. Qualcuno aveva commentato Si è scelto la tomba più vasta e profonda del mondo.
202.
Una volta ho pensato di essere il cugino di mio cugino e di mia cugina.
203.
Una volta ho pensato di essere la Torre di Pisa. Me ne stavo in un angolo dell’andito, sotto un quadro cubista. Pendevo e non cadevo. Poi una notte Arturo si era alzato dal letto per andare a pisciare e mi aveva buttato giù con una manata. Al pronto soccorso mi avevano detto che, come minimo, avevo due costole fratturate.
204.
Una volta ho pensato di essere un tramonto. Marcel Proust, il cane di Arturo, si era seduto e mi guardava scodinzolando appena.
205.
Una volta ho pensato di essere un tulipano bianco. Mi avevano sistemato in un vaso di ceramica a forma di tronco di cono rovesciato. Avevo sempre nutrito l’ambizione di stare dentro un vaso. Arturo la pensava diversamente. Non lo raccomanderei come modo per vivere una vita felice, mi aveva detto.