Cose che ho pensato (trentuno).
176.
Una volta ho pensato di festeggiare il nuovo anno in Germania. Ero partito insieme a Arturo e Marcel Proust, il cane di Arturo. Dovevamo andare al funerale di Benito, lo zio di Arturo, che aveva ottantanove anni e abitava in un paesino della Baviera. Benito aveva avuto cinque mogli e dodici figli. Aveva divorziato dall’ultima moglie perché sosteneva che fosse arrivato il momento di starsene da solo. A quanto era dato sapere, Benito era morto soffocato da un’oliva. Anche l’anno prima aveva rischiato di restarci secco. Gli era rimasta conficcata in gola un’enorme spina di pesce. Al pronto soccorso, mentre gli estraevano la spina, aveva cercato di palpeggiare un’infermiera e di infilarle una mano sotto la gonna. I medici lo avevano curato e rispedito a casa in tutta fretta. Come fosse riuscito a strozzarsi con un’oliva, nessuno lo aveva capito. Il funerale comunque era stato un mezzo fiasco, così ci avevano detto. Noi non eravamo riusciti a arrivare per tempo, eravamo saliti sul treno sbagliato, quello per Stoccarda.
177.
Una volta ho pensato di farla franca. A momenti ci riuscivo.
178.
Una volta ho pensato di andarmene in giro con una lente d’ingrandimento. Me la portavo sempre appresso: mattina, sera e notte, anche quando dormivo. Anche quando facevo la spesa. Ingrandivo i cartellini dei prezzi sugli scaffali del supermercato. Le etichette sulle buste dei cibi confezionati. Le foglie dei mandarini. I gusci delle noci e delle nocciole. Le scatole di tonno. La pellicola trasparente che ricopriva i salumi e i formaggi. Le prese di corrente elettrica e le macchie sui pavimenti. Ingrandivo ogni cosa mi capitasse tra le mani. Mi sentivo soddisfatto e pensavo che prima o poi qualcuno mi avrebbe dato perfino dei soldi, per quei lavori di ingrandimento. Arturo mi aveva detto che nel nord Europa c’era gente disposta a pagare un bel po’ di quattrini, per quei lavori. Avevo anche pensato di trasferirmi, nel nord Europa. Poi però era arrivato l’inverno, e quell’inverno lì mi ero preso un mal di gola che mi aveva steso. Ero rimasto quattro giorni senza voce.
179.
Una volta ho pensato di essere un attore del cinema. Di quegli attori che recitavano nelle commedie all’italiana. Che mi sono sempre chiesto se anche in Danimarca, per dire, esistano le commedie alla danese. O in Finlandia le commedie alla finlandese. O in Islanda le commedie all’islandese. O in Lituania le commedie alla lituana.
180.
Una volta ho pensato di mettere su una fabbrica di viti a croce autofilettanti. Era un periodo che scarseggiavano, le viti a croce. Ricordavo di averne conservato un centinaio in un piccolo barattolo di latta. Una sera mi ero messo a cercarlo, quel barattolo, ma non l’avevo trovato. Ne avevo trovato un altro, invece, con dentro un po’ di viti a spacco. Era un periodo che tutti usavano le viti a spacco. Te le tiravano dietro, al negozio di ferramenta. Le viti a croce erano rarissime e costavano un occhio della testa. Arturo diceva che era per via della curva di domanda. Gli avevo chiesto se per caso avesse un po’ di risparmi da investire sul mio progetto di fabbrica di viti a croce autofilettanti. Mi aveva risposto che i suoi risparmi li gestiva Marcel Proust, il suo cane.
nella foto, eyefish