Cose che ho pensato (ventisette).
151.
Una volta ho pensato di perdere la memoria. Non ricordavo nulla. Mi guardavo allo specchio e mi domandavo chi fossi. Non ricordavo in che città abitassi. Non ricordavo neanche come si allacciassero le stringhe delle scarpe. Poi era arrivato Arturo e mi aveva detto che ero il suo migliore amico e che avevo la passione del bere. Da quel momento in poi avevo iniziato a ricordare qualcosa.
152.
Una volta ho pensato di avere. Avevo tutto. Avevo così tante cose che non riuscivo a contarle. Avevo anche due moto che non sapevo guidare.
153.
Una volta ho pensato di non avere. Non avevo niente, nemmeno un paio di scarpe con le stringhe. Figurarsi una moto.
154.
Una volta ho pensato di svegliarmi e di parlare una lingua che nessuno conosceva. L’unico che mi capiva era Marcel Proust, il cane di Arturo. Con lui avevamo iniziato a chiacchierare di ateismo e sessualità. Poi a un certo punto era uscito in giardino per pisciare e sino all’ora di cena non si era più visto.
155.
Una volta ho pensato di essere un quadro esposto in un museo di Parigi. Non ero un quadro famoso, uno di quelli che davanti ci son sempre centinaia di persone a guardare, ammirare e fotografare. Ero il quadro di un artista minore. Ero un quadro minore. Uno di quelli che i critici dicono “L’artista era già al crepuscolo e questa è una sua opera minore”. Mi avevano sistemato in una sala minore. Anche la parete era minore. Avevo una certa tendenza a deprimermi, nonostante fossi un quadro.
nella foto, una foto