Differenze (1)
La triforcazione si trovava al termine di una lunga discesa, al di là di una serie di curve. Tutto attorno, cespugli giallastri e vite selvatica, rumori di insetti e ulivi.
Tre strade, nessuna indicazione, nessun cartello.
– E adesso? – ha detto Alina.
Ho spento il motore. Entrambi siamo scesi dall’auto. Il sole era alto.
– Controlla la mappa – le ho detto.
Alina mi ha guardato da sotto le lenti scure.
– Perché? – mi ha detto.
– Perché ci siamo persi.
Un istante dopo ha tirato via la mappa dal cruscotto e l’ha svolta sul cofano. S’è messa a studiarla.
Ho scrutato l’orizzonte: pietre, colline. E vegetazione bassa. Nient’altro. Ho provato con il telefono: rete assente.
– Hai controllato la mappa? – le ho domandato.
– Sì – ha risposto.
– Dove ci troviamo?
– Non lo so. Mi sa che la mappa è fasulla.
Sei tu che sei fasulla, m’è venuto da dirle. Ma sono stato zitto.
Mi sono avvicinato, ho dato un’occhiata alla cartina. In cuor mio già sapevo quale strada avrei dovuto imboccare.
– Sei sicuro? Ci siamo persi? – ha detto Alina.
– Sì – ho detto – ci saremmo dovuti fermare molto prima, un’ora fa, quando abbiamo incrociato quel gregge di capre.
Lei ha sollevato lo sguardo. Sembrava seccata.
– Che c’è? – ho detto.
– E perché ci siamo fermati proprio qua? – mi ha chiesto.
Ho fatto per dire qualcosa. Ma niente. Ho scosso il capo, ho ripreso a consultare la mappa.
– Perché proprio qua? – ha detto nuovamente lei, un tono di voce più alto.
Mi sono voltato. Lei si stava levando un ricciolo di capelli dalla fronte sudata. Aveva un’espressione buffa, quasi sorpresa. Per un attimo ho pensato di baciarla. Di stringerla in un abbraccio e di baciarla. E basta.
Invece sono rimasto immobile. Un po’ a disagio. Mentre già immaginavo quali potessero essere le sue intenzioni.
– Qua o là non ha importanza – ho detto – non ha proprio alcuna importanza.
Alina ha sollevato le spalle, in un gesto quasi impalpabile di fastidio, o di rabbia. S’è allontanata, le mani infilate nelle tasche dei pantaloncini, ha scalciato un sasso e ha fatto mezzo giro. S’è fermata dalla parte opposta del sentiero. Il vento tiepido faceva ondeggiare il fogliame. Forse non era il momento che entrambi aspettavamo. O forse sì.
Alina è tornata sui suoi passi. Mi ha fissato a lungo, non c’era traccia di ostilità sul suo viso.
– Credo di non averti mai amato – mi ha detto.
Ho fatto in tempo a scorgere il volo di un falchetto. Ho tenuto gli occhi incollati al cielo fin che non l’ho visto sparire nel fondovalle.
– Non è te che ho amato in tutto questo tempo – ha ripetuto lei – penso sia giusto che tu lo sappia.
– Che cosa intendi dire? – le ho domandato con un mezzo sorriso.
Alina mi ha risposto lentamente.
– Nulla più di ciò che hai capito.
Allora ho sfilato la pistola che tenevo nella cinta dei jeans, l’ho impugnata dalla parte della canna. Ero attratto dall’imbroglio in cui ci stavamo cacciando. Non so perché ma mi sembrava una scena già vista.
– Tieni – ho detto mentre le porgevo l’arma – però vorrei che prima mi spiegassi.
Un istante dopo abbiamo notato una nuvola di polvere avanzare verso di noi, in lontananza, in fondo alla strada.