Fischi, bastoni e calci.
Cagliari, una mattina d’estate.
La donna, sulla sessantina, capelli lunghi, neri e unti, avvolta in un vestito estivo fiori & frutta molto abbondante, è in piedi alla fermata dell’autobus e con una borsetta finto cuoio si protegge la testa dal sole. Va ragionando sottovoce tra sé e sé, passeggia nervosamente. L’autobus appare quasi all’improvviso, sbuca tra una serie di camioncini in doppia fila. La donna sembra in ritardo su tutto, agita mani e borsetta, urla Ferma! Ferma! L’autista è costretto a una frenata brusca qualche metro oltre il perimetro giallo disegnato sull’asfalto, dove campeggia la scritta BUS, sbiadita e ormai praticamente illeggibile. La donna sale, l’autobus riparte ma le portine si chiudono con leggero anticipo e il vestito fiori & frutta rimane impigliato. Oooooh!, urla la donna. Oooooh!, e nel frattempo tira con forza, ma il vestito resta lì, impigliato tra le ante. Oooooh! Autista!, urlano gli altri passeggeri. Soltanto a quel punto, l’autista rivolge uno sguardo pigro allo specchietto retrovisore interno, scuote la testa, rallenta e riapre le portine. Grazie eh!, urla la donna. Che ora avanza minacciosa, si spolvera il vestito e continua a urlare rivolta all’autista.
Potevo morire, potevo. Ma cos’è, pazzo?, dice.
L’autista fischietta un’aria allegra.
Ma si rende conto? Ma lei è pazzo!
L’autista fischietta.
Ma non l’ha visto che cosa mi stava succedendo? Eh? Non l’ha visto?
L’autista fischietta.
Ma lei è pazzo!
L’autista fischietta, rallenta, il semaforo è rosso.
La donna si siede, riprende a spolverarsi il vestito, si aggiusta i capelli.
Lo dico a mio marito, poi voglio vedere se già non le passa la voglia di fischiare. Un bel bastone in culo e una passata di calci in bocca, altro che fischiare. Lo dice facendo sì con la testa, cercando l’approvazione degli altri passeggeri. Che prima la guardano, si guardano, e poi anche loro fanno sì con la testa.