Fuga di mezzo agosto.
Mi sono alzato la mattina presto, sono andato in veranda.
Lei era già in piedi, stava sistemando le sue cose in camera.
Ho guardato i palazzi di fronte. Il rumore della città arrivava come un sottofondo di suoni compressi, onde elastiche a moduli stratificati.
– Basta – ho detto a un certo punto – non ce la faccio più. Voglio diventare un cervello in fuga.
– Da quando in qua? – mi ha domandato lei.
– Da quando le cose vanno solo a puttane, da quando questo paese non offre più un futuro, da quando non c’è più libertà, da quando è morta la democrazia, da quando ci sarà pure un posto migliore per vivere, da quando è ora di finirla, da quando non è più tempo per piangersi addosso, da quando le cose possono davvero cambiare, da quando volere è potere.
Lei ha continuato a sistemare le sue cose in camera.
– No, scusa – ha poi urlato da dentro – intendevo: da quando in qua pensi di avere un cervello?