Fuori registro

Fuori registro.

Faccio il giornalista da quasi trent’anni e spero di svolgere, di aver svolto questo mestiere con attenzione, garbo e anche con molta curiosità nei confronti dei cambiamenti della professione; dalle innovazioni tecnologiche ai mutamenti della scrittura, alle nuove forme di linguaggio, ai nuovi stili. Se non si è curiosi e aperti alle novità – ma anche critici e dissidenti, quando è il caso – non si è nemmeno in grado di fare del buon giornalismo. Ora, però, faccio davvero fatica, una fatica estrema, a capire quali elementi di ammodernamento o di informazione alternativa si possano riscontrare nel gridare le notizie dei suicidi e dei tentati suicidi, nello scavare con morbosità patologica nelle vite e nelle sofferenze di uomini e donne, e persino bambini. È ormai prassi quotidiana: sui giornali, nelle tv, sui siti internet. Lo so, lo so molto bene che fare il giornalista significa farsi i fatti altrui e raccontarli. Però so anche che c’è un limite. E non intendo il limite all’esercizio del diritto di cronaca, che per altro già esiste. Intendo un altro confine, un altro margine. Intendo quello spazio avvolto d’ombre, di nulla e di dolore oltre il quale non è peccato per nessuno, neanche per un giornalista, evitare di avventurarsi.

4 Comments

  • Marcella

    8 Luglio 2013 at 21:12

    Ancora una volta ti applaudo e stavolta senza battute, perché su queste cose c’è da esser molto seri. Meno male che esistono ancora giornalisti come te, con una morale e un grande senso di umanità (che comprende anche la consapevolezza che esistono dei limiti)

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  • massimo lavena

    8 Luglio 2013 at 19:22

    Caro Gianni…… lacrime e sangue sulla deontologia e sull’etica della nostra professione. Come il resto d’israele forse è giunto il momento di esprimere il nostro dissenso e alzar barricate a protezione di un sogno.

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  • Carlo

    8 Luglio 2013 at 13:28

    Guardare le disgrazie degli altri è un modo primitivo di esorcizzarle. Sono le stesse persone che rallentano o si fermano a curiosare sulla scena di un incidente, quelle che apprezzano che si interroghino le vittime di uno stupro ancora in commissariato o le madri di bambini uccisi barbaramente. Il (cattivo) giornalismo si adatta volentieri a queste passioni ammorbanti, pensando magari soltanto di aumentare gli ascolti, o i lettori, senza rendersi conto che alimentare il male è fare il male. Ciao

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