Giorno 29

Giorno 29.

Dal diario di H., scritto un mese prima della sua partenza per Cuba.

Zurigo, pensione Josephine.
Oggi è il 29 giugno 1997. Sono le 7.50.
Stanotte ho sognato di svegliarmi in una città orientale, forse giapponese, forse coreana, forse no. Le strade brulicavano di auto nere e affusolate. Le persone indossavano una specie di divisa, bianca a strisce rosse molto sottili, il colletto della camicia era scuro e leggermente sollevato. Il mio abbigliamento era inadatto. Indossavo un abito da sera e in testa avevo un cappello stravagante, come quello di certi lord inglesi di fine ottocento. Era l’imbrunire, faceva fresco e l’aria era umida. Passeggiavo e scrutavo le vetrine illuminate dei negozi. La gente mi scansava, a volte mi passava accanto, rapida e silenziosa. Più spesso guizzava di lato, seguendo bisettrici marginali. Gli uomini erano scalzi, le donne no. Sentivo i loro sguardi su di me. Non erano sguardi ostili, ma nemmeno amichevoli. I marciapiedi erano ricoperti di uno strato di petali multicolori, minuscoli come coriandoli. Le auto transitavano veloci e inavvertibili. Sembravano slittare senza attrito, come su una superficie liquida. Dalle finestre e dai balconi dei palazzi pendevano lenzuola gialle. Mi sono fermato davanti a un vicolo buio e stretto. Poco distante c’era una ragazza, aveva un ciuffo di capelli scuri che le coprivano la fronte. Si è avvicinata, mi ha preso per mano e mi ha trascinato nella viuzza. Ci siamo messi a correre. Metro dopo metro, l’aria si faceva sempre più fredda. Arrivati in fondo al vicolo, ci siamo fermati. Le ho chiesto qualcosa, non mi ricordo cosa. Lei ha scosso la testa per dire no. Poi abbiamo sentito delle voci provenire da un cono di luce sopra le nostre teste. Il cono s’ingrandiva man mano che il suono delle voci aumentava. Mi sono tappato le orecchie con le mani. Ho chiuso gli occhi e ho urlato. Quando li ho riaperti, la ragazza era sparita e mi trovavo in un appartamento vuoto, fatta eccezione per un tavolo rettangolare e una vecchia radio sintonizzata su un canale di musica da camera.
Un istante dopo mi sono svegliato. Sono andato in bagno e mi sono guardato allo specchio.
Ho fatto in tempo a chiedermi: Chi sono? Che cosa ci faccio qui?
Poi sono svenuto.







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