Il cucchiaino nel taschino.
L’altra mattina, mentre facevo due passi ai Giardini pubblici e pensavo alla bellezza dei capperi e delle magnolie, mi è capitato di incrociare un uomo coi baffi e dall’aspetto distinto che se ne andava in giro con un cucchiaino da caffè nel taschino della giacca. La paletta concava sbucava dal taschino e sembrava una spilla d’argento, brillava al sole. L’uomo ha percorso un sentiero di ghiaia ai bordi del prato, poi a un certo punto si è fermato e si è acceso una sigaretta. Ha tirato su il mento e ha soffiato una nuvola di fumo, quindi ha ripreso a passeggiare, l’andatura calma di chi, non dovendo andare da nessuna parte, ha molto tempo da buttar via. L’ho seguito per un po’ con lo sguardo, finché non si è allontanato mescolandosi tra le sagome degli alberi, in fondo al viale. Qualche istante dopo mi è venuta in mente una sera di marzo di tanti anni fa in cui io e Marcello, reduci da un pomeriggio trascorso a sfogliare libri in qualche libreria del centro, entrammo in un bar di via Roma e ordinammo una birra e un cappuccino; la birra per me, il cappuccino per lui. Marcello prese la tazzina e ci versò dentro sette cucchiaini di zucchero, sette pieni pieni. Non dissi bah, anche se sette mi sembravano troppi, anche per un cappuccino schiumoso e fumante. Dopodiché Marcello iniziò a mescolare il cappuccino con il cucchiaino della zuccheriera. Non dissi bah, anche se la cosa mi sembrava imbarazzante. Girò e rigirò e rigirò quel cucchiaino nella tazzina per un tempo insopportabilmente lungo. Poi se lo mise in bocca, lo leccò ben bene e lo rinfilò nella zuccheriera. Il cameriere, che aveva osservato la scena con attenzione, non disse bah, ma intercettai una sua occhiata, assai eloquente. Al che pagai di fretta e trascinai Marcello fuori dal bar, lasciando a metà le nostre consumazioni. Lui non disse bah, ma qualche domanda secondo me se la fece, tant’è che alla fermata dell’autobus se ne uscì con una delle sue.
– Che tu ci creda o no, Dio esiste e suona la batteria in una rock’n’roll band.
Scossi la testa.
– No. Non ci credo. E comunque la sceneggiata del cucchiaino te la potevi risparmiare.
Marcello sgranò gli occhi.
– Vuoi scherzare? L’ho ripulito che sembrava appena lavato e asciugato.
– Bah.
Poi, una volta saliti sull’autobus, iniziammo a discutere di Dio. Litigammo sul concetto di Dio batterista. Ché se sei un batterista buonannulla, il rock’n’roll non lo puoi suonare. Così gli dissi.
nella foto, un cucchiaino nello yogurt