“Il trucco è buttar via le pagine di mezzo (e quelle dispari)”.
“Il trucco è buttar via le pagine di mezzo (e quelle dispari)” è il titolo dell’articolo pubblicato su “The International Book In Book Magazine”, a firma Mark Milton.
Si tratta di un articolo incentrato sul mio ultimo romanzo “Dettagli di un sorriso“.
Lo propongo qui nella traduzione di Elvira Macchietta.
La versione originale, in lingua inglese, è reperibile sull’ultimo numero della rivista in uscita la prossima settimana nelle edicole delle Isole Pitcairn.
Buona lettura.
“How to throw away the middle pages”
Incontro Gianni Zanata per un’intervista esclusiva. Non è stato facile incontrarlo, ho dovuto insistere parecchio con la sua agente, una donnina alta poco meno di un metro e mezzo che la sera vende popcorn nelle Sale bingo e che a quanto pare sta per divorziare dal marito, un ingegnere nucleare che vive a Teheran.
È una bella giornata di sole qui a Cagliari. L’inverno non si sente, soprattutto adesso che è pomeriggio e siamo all’aperto, seduti a un tavolino sul retro di un ristorante per sordomuti.
Gianni Zanata è vestito in modo sobrio. Indossa un accappatoio blu e una T-shirt bianca con una scritta rosa “PER PIACERE, MI PASSERESTI L’ELENCO DEL TELEFONO?”. Indossa anche un cappello della marina militare belga. Dalla suola dei suoi stivali Hello Kitty pende un brandello di gomma da masticare.
Zanata stringe tra le mani un boccione d’acqua con dentro dei pesciolini rossi, di tanto in tanto manda giù un sorso.
Il suo nuovo romanzo, Dettagli di un sorriso (Quarup, 2012), racconta una storia fatta di protuberanze letali, infedeltà etiche e parziali ossessioni ancestrali. È una storia che mescola realtà e fantasia, il seguito di Non sto tanto male (Quarup, 2011) con Valdo Norman e Bianca.
I giornali e le riviste letterarie italiane hanno stroncato l’opera definendola “impalpabile come letame di falena”. I quotidiani inglesi e quelli delle Isole Pitcairn, invece, hanno citato il nome di Zanata accanto a giganti delle lettere quali Djuna Barnes e Billy Bis.
La mia preoccupazione è di non mitragliarlo con domande stupide o volgari.
Come si fa a cominciare un nuovo libro? – gli chiedo.
Lui solleva il mento, si gratta in mezzo alle gambe e rimane in silenzio per almeno cinque minuti. Sto per alzarmi e andar via ma lui mi fa un cenno con la mano, deglutisce e soffoca un breve rutto.
Scusa – dice – digestione lenta.
Quindi s’inchina, tira via dalla suola la gomma da masticare e se la infila in bocca. Fa una bolla enorme e se la fa esplodere sulle labbra.
L’inizio di un libro è assai gradevole – mi dice – in genere scrivo sette, otto incipit. Li rileggo e mi rendo conto che sono incipit per nulla interessanti. Quindi li butto via e ne scrivo altri sette, otto. Li rileggo e mi rendo conto che sono peggiori dei precedenti. Vado avanti così per circa due mesi. A quel punto il libro è già nella mia testa, è una specie di calamita che attrae paragrafi e capitoli, uno dietro l’altro. Dopo aver scritto duecentocinquanta pagine mi chiedo: ma che cazzo sto scrivendo? Allora butto via le pagine di mezzo e quelle dispari, copio e incollo i quattromila incipit scritti nei mesi precedenti, cambio un paio di virgole, aggiungo sette punti esclamativi, e il gioco è fatto.
Un libro deve avere per forza un inizio? Hai mai pensato di iniziare con un finale? – gli domando.
Oh, io inizio sempre con un finale – fa lui – le mie storie si sa come iniziano e si sa pure come finiscono: penso che inducano il lettore a un dubbio gigantesco circa l’esistenza stessa del mondo. Il finale per me non esiste, è pura pornografia. Il finale delle mie storie è tutto nelle pagine che ho deciso di scartare. Quelle dispari, voglio dire.
E che cosa succede a quelle pagine? – gli chiedo.
In un impeto di suprema malinconia, le sminuzzo e le utilizzo per fare il pollo ripieno.
Tu lavori meglio di giorno o di notte?
Di norma mi lascio percuotere dalle cerbottane o da forami di malva. Giorno e notte. Finché non scorgo il brandello di gelatina siderale.
Conosci altri scrittori che lavorano così?
Non mi interessano le abitudini di lavoro degli altri scrittori. Però ho letto da qualche parte che Melville amava mulinare il torciglione nella puleggia di cuoio.
Le tue letture influiscono su quello che scrivi? – gli chiedo.
La mia scrittura non è una scrittura sensibile. Non ha una malleabilità sonora. Sai – mi dice – ho un armamentario tecnico coi fiocchi, tutt’uno con la semantica, la pragmatica e le applicazioni metaforiche. Guarda, non so come spiegarti. Ma casa mia è un posto difficile, e un metasemema tira l’altro. Quando l’io scrivente e l’io biografico escono a far compere, io mi sdraio sul divano e faccio gare di peti con l’orso yoghi.
Quando scrivi immagini il tuo lettore?
Sì, certamente. Immagino che stia lì a incoraggiarmi, a farmi le coccole, a prestarmi la sua villa al mare, a portarmi con sé in vacanza, o a un party di nudisti.
Cosa succede a Gianni Zanata quando si trasforma in Valdo Norman?
Io sono un falso biografo, niente di che. Valdo Norman è solo un –ismo invadente e pervicace. Quando scrivo faccio di tutto per non torturare i miei personaggi. Con loro sono serio. Le loro anime sono navigli infelici che salpano verso l’angoscia. Valdo Norman è un brav’uomo, in fin dei conti. Ma, come dice il Maestro, la letteratura non è un concorso di bellezza morale.
Zanata butta giù l’ultimo sorso d’acqua dalla boccia dei pesciolini rossi che adesso si agitano moribondi. Mi lancia uno sguardo come dire “ora basta, devo andare”.
Un’ultima domanda – gli dico.
Lui si gratta di nuovo tra le cosce, fa sì con la testa. Purché sia una cosa rapida, dice.
Che cosa ti è successo negli anni settanta? – gli chiedo.
Lui china il capo. Sembra imbarazzato.
Negli anni settanta? – dice.
Già.
Oh, cazzo – dice.
Che c’è?
Oh, cazzo.
Che succede?
Oh, cazzo.
Ehi, amico, tutto a posto? Ti senti bene? – gli domando.
Lui per tutta risposta si alza e se la dà a gambe.
Mark Milton, gennaio 2013
“The International Book In Book Magazine”
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2 Comments
Simonetta
5 Gennaio 2013 at 23:26ehiiiii, ma cosa ti é successo negli anni 70?
mica ci puoi lasciar cosí…
Gianni
6 Gennaio 2013 at 07:51anni ’70?
quali anni ’70?
🙂