Oscillazioni casuali.
Era soltanto un rifugio vicino alla riva del fiume, niente di più. Un rifugio come tanti, su una collina dove cent’anni prima qualcuno aveva piantato un castagno. In quel rifugio abitava Il Salmista, un uomo di età indefinita e un occhio di vetro che luccicava nei giorni di luna piena. Una volta gli avevo scritto una lettera. Iniziava con “Ti scrivo in tempo reale, qualunque cosa significhi In Tempo Reale”. All’epoca, la suddivisione del tempo, il mio tempo, era incerta quanto la suddivisione dello spazio, il mio spazio. Gli altri mi guardavano e dicevano: “Adesso tocca a te”. Sapevano dire soltanto “Adesso tocca a te”. Il Salmista no. Non dava mai l’impressione di essere alla ricerca di un capro espiatorio. Forse era per via della luna piena. Che a me non sembrava mai davvero piena. A volte era a metà o a tre quarti, altre a sette dodicesimi o a cinque ventiquattresimi. A ogni modo, la guardavo e aspettavo una risposta. Era un modo per sdrammatizzare. O per inquinare la complessità dei ragionamenti. Su questi temi, come su tanti altri, Il Salmista era abbastanza evasivo. Sosteneva che starsene seduti a girarsi i pollici fosse un’impresa complicata e dolorosa. Come sempre, aveva ragione lui. Vedeva oltre. Non saprei dire quanto oltre, ma questo aveva un’importanza relativa. Il mio cruccio era non avere crucci, tutto lì. Ogni mattina, al risveglio, la statua di Sara La Nera ci osservava da un piedistallo collocato al centro del rifugio. Il Salmista era solito domandare: “Che cosa non volete?”. Noi stavamo in silenzio. Per lo più cercavamo di dargli poca soddisfazione. Sugli scaffali della libreria c’era un volume intitolato “Tutti i testi: dalla A alla Z”. A me sembrava un’idiozia. Mi chiedevo perché mai non si potesse andare dalla C alla Y o dalla M alla E. Di solito ero sbarbato di fresco e all’imbrunire me ne stavo seduto su un muretto facendo dondolare le gambe. Mi sentivo depositario esclusivo di idee esemplari e moralmente ineccepibili. Guardavo Il Salmista. Passeggiava in maniche di camicia, con una rosa nel taschino della giaccia e uno scacciamosche nella mano sinistra che agitava per allontanare le ombre dei suoi ricordi. La vita scorreva al di là del fiume e non c’era mai nessuno disposto ad abbracciarci quando ne avevamo bisogno.