Quaderni del coprifuoco (13).
Mi sembra di aver sognato che ce ne andavamo in giro indossando delle mascherine commestibili.
Alcuni portavano mascherine di mortadella, altri di formaggio a fette, altri ancora di millefoglie alla crema. I più sofisticati le avevano macrobiotiche. I più golosi ricoperte di pan di Spagna, uvetta, canditi e gocce di cioccolato fondente. Un gruppo di fricchettoni bighellonava sfoggiando mascherine alla cannabis. Il panettiere ne ostentava una di pane guttiau e di tanto in tanto vi spalmava sopra dei riccioli di pecorino cremoso. Andavano a ruba le mascherine alla pizza, spesso farcite o ricoperte di capperi e acciughe. In ossequio alle disposizioni sul distanziamento sociale, i più diligenti si coprivano naso e bocca con un trancio di frittata alle cipolle.
C’è da dire che nessuno aveva da obiettare, sull’utilizzo delle mascherine. Se ne indossavano e se ne divoravano a dozzine. Nei parchi, nelle piazze e nelle vie del centro storico, i commercianti più intraprendenti organizzavano degli assaggi, proponevano abbinamenti esclusivi, mascherine gran gourmet, gamberi e zenzero, melagrane e bottarga, seppie e avocado, salmone e radicchio, e la sera, per la gioia dei più mondani, impazzavano gli aperimascherine.
Quando l’ho raccontato ad Arturo, lui è rimasto in silenzio per un po’, ha continuato a ritagliare lettere maiuscole dalle pagine dei quotidiani sparpagliate sul tavolo. Ho visto che metteva insieme una A, due F, un’altra A, una N, una C, e a quanto ho capito era in cerca di una U, di una L e di una O.
Poi si è voltato e mi ha detto “Brutto segno”.
In quell’istante Marcel Proust è comparso da dietro il divano. Stringeva in bocca una pipa ricurva, quasi un quadro di Magritte.