Quaderni del coprifuoco (15).
Ieri sera, mentre Arturo sgranocchiava nocciole tostate e mandorle ricoperte di miele e Marcel Proust sonnecchiava disteso sul pavimento, ho acceso il televisore e l’ho sintonizzato su un canale che trasmetteva un programma dedicato alla pittura fiamminga.
– Dovremmo smontare l’albero di Natale – ho detto.
Arturo ha continuato a sgranocchiare nocciole, ha fatto finta di nulla.
– Lo so – ho detto – quest’anno è andata così. Niente regali.
La coda di Marcel Proust si è mossa in modo quasi impercettibile.
– Vi interessa, la pittura fiamminga? – ho chiesto.
Arturo ha continuato a sgranocchiare mandorle ricoperte di miele, ha fatto finta di nulla.
– Però che tipi ‘sti fiamminghi, eh? – ho detto.
Niente, nessuna reazione. Avrei potuto dire qualsiasi cosa, “Patate e rum fanno male alla salute” o “Domani andiamo a rubare cadaveri” o “Ballare è contro natura”, intanto nessuno mi ascoltava.
A un certo punto Marcel Proust ha aperto un occhio, poi l’altro, ha sollevato l’orecchio destro e ha sbadigliato. Al che ho capito che aveva bisogno di uscire.
Una volta fuori, ci siamo diretti verso il solito slargo, oltre la strada principale. Poco dopo abbiamo incrociato il professor Genovesi e il suo barboncino, Sigfrido, due rompicoglioni di prima categoria. Il professore ha ottantadue anni, è stato insegnante di chimica, militante comunista, tennista dilettante, collezionista di cartoline in bianco e nero, console della Lituania e molte altre cose. Sigfrido no, a quanto mi risulta non è mai stato console.
Il professor Genovesi ha sollevato stancamente un braccio e ha mugugnato qualcosa a mo’ di saluto. Ho ricambiato con lo stesso entusiasmo.
Siamo rimasti a distanza di sicurezza, di tanto in tanto ci guardavamo di sottecchi.
– Il suo cane sta cagando palline – ha detto poi con un lieve tono di rimprovero il professore, indicando Marcel Proust.
Ho lasciato decantare le parole, mentre Marcel Proust cagava liberamente sulla sua porzione di aiuola preferita.
– Non è il mio cane – ho detto.
– Ah – ha fatto il professore sollevando un sopracciglio.
E per un quarto d’ora siamo rimasti in silenzio, ognuno per conto suo.
Una volta rientrati a casa, ho spento il televisore e ho dato il consueto buffetto della buonanotte alla statuetta del Buddha sulla libreria.
Arturo dormiva sul divano. L’ho guardato con un moto di ripulsa.
Poi ho urlato: – Sveglia!
Niente. Non si è svegliato, il coglione.
Ho bevuto mezzo bicchiere d’acqua e sono andato a letto.
Domani me ne andrò in centro ad ascoltare il chiocciare sordo degli anziani che escono dalla chiesa dopo la messa di mezzogiorno, mi sono detto prima di addormentarmi.