Quaderni del coprifuoco (2).
A dispetto dell’umidità notturna, poco dopo le ventitré Arturo si è alzato dal divano, ha preso il sassofono e ha iniziato a soffiarci dentro. Venivano fuori note sbilenche e presuntuose. Marcel Proust osservava con le zampe distese e il muso appoggiato sul pavimento. Il suo orecchio destro sembrava mostrare interesse per la musica. Il sinistro no, ma non c’era controprova. La sua reazione non è stata altrettanto arrendevole, quando ho iniziato a cantare unendomi alle colonne d’aria vibranti che affioravano dallo strumento. Marcel Proust a quel punto si è sollevato e con fare indolente se n’è andato chissà dove.
La canzone, secondo me, non era peggio di tante altre che si sentono alla radio. Più o meno faceva così.
Sono al chiuso
Dentro casa
Son recluso, un po’ indifeso
Quasi quasi sadomaso
Esco solo a far la spesa
Pasta, latte, vino a iosa
La lattuga già l’ho presa
Alla cassa c’è Teresa
Là c’è Elisa, dice cose
Non mi sembra contagiosa
Poi in discesa
Torno a casa
Con le buste della spesa
La dispensa è spaventosa
Potrei dir meravigliosa
Birra scura, non famosa
Questa sì che è autodifesa
Trentatré poco costosa
Un boccale raso raso
Bevo, rutto, guarda caso
Chiedo scusa
Sono al chiuso
Scrivo, leggo, faccio cose
Sto disteso, bell’impresa
Poi di colpo, all’improvviso
Il citofono, deciso
Strilla forte, fastidioso
Una visita inattesa
Mi sollevo, silenzioso
Su, perbacco, son curioso
Sono teso
Sono al chiuso
Chi è che suona, son confuso
– C’è Tommaso? Sono Susi
– Ma che cosa?
– Dica, scusi
– Qui non c’è nessun Tommaso
– Un errore, non mi accusi
– Si figuri, venga a casa
Abbiam fatto già la spesa
– No, non posso, senza offesa
Sto recluso
Son deluso
Pure l’aria è un po’ paurosa
L’ansia striscia velenosa
Dilagante, perniciosa
Quasi quasi vado in chiesa
Una prece, una pretesa
Un miracolo, qualcosa
Una grazia prodigiosa
Per non dire portentosa
Niente chiesa
Resto in casa
Aspettando la ripresa
Passeranno, giorni ottusi
Nel frattempo, gli occhi chiusi
Due pensieri alla rinfusa
Tre lucine luminose
Quattro salti giù a Mombasa
Lisa
Pausa
Nasa
Sposo
Tra le rime sono esploso.
Poi dal piano di sopra si è sentita una voce. Qualcuno ha urlato qualcosa.
Secondo una prima interpretazione, alquanto grossolana, la voce avrebbe urlato “Avete un suono da strapazzo”. La seconda ipotesi, invece, ruota attorno alla parola Paonazzo, ma Arturo è convinto che il tizio del piano di sopra nemmeno conosca il significato della parola Paonazzo. Esclusa altresì la possibilità che il vicino abbia usato termini quali Imbarazzo, Razzo o Terrazzo, esiste il ragionevole dubbio che in realtà l’urlo del vicino intendesse riferirsi a un problema di natura meccanica, come la frattura di un organo genitale, per esempio. Una teoria talmente plausibile che perfino Marcel Proust al momento preferisce sorvolare.