Quaderni del coprifuoco (4).
Dopocena, nonostante facesse abbastanza freddo, e per freddo intendo dire che la temperatura esterna si aggirava sui diciotto, venti gradi, ho aperto la finestra che dà sul balcone. L’aria sapeva di crauti.
– Chiudi quella cazzo di finestra – ha intimato Arturo dal divano.
– Lo senti anche tu questo odore di crauti? – ho detto annusando come un segugio.
Alla parola “crauti” la coda di Marcel Proust ha iniziato ad agitarsi. Solo la coda, tutto il resto, carcassa anatomica compresa, sembrava immerso in uno stato catatonico.
– Chiudi la finestra – ha reiterato la richiesta Arturo.
Non gli ho dato retta. Ho continuato a fiutare l’aria con sufficiente disinvoltura.
– Secondo me sono proprio crauti – ho detto pensando a voce alta.
Poi, squadrando dall’alto in basso Marcel Proust:
– Possibile che nemmeno tu lo senta? Eh? Hai il naso tappato?
Movimento impercettibile del muso.
– Il tuo è un cazzo di cane borghese – ho detto rivolto ad Arturo. – Avresti dovuto affezionarti a un animale comunista. Un gatto, un orso, una scimmia, un pappagallo. Qualsiasi altra bestiola, purché favorevole all’abolizione della proprietà privata.
Altro movimento impercettibile del muso.
– La vuoi chiudere o no, quella cazzo di finestra?
– Il tuo cane è un fottuto borghese. L’aria sa di crauti e lui se ne sta placido, sdraiato, fa il morto. Non ha alcuno spirito rivoluzionario.
Alla fine ho chiuso la finestra e sono andato in cucina. Più o meno c’era lo stesso disordine che si annidava nei miei pensieri.
– Ah. Un’altra cosa – ha urlato Arturo.
– Cosa?
– La prossima volta che ti sento usare il termine “webinar” ti scaravento giù dal balcone,.
Un giorno o l’altro bisogna che glielo dica, ho pensato. Brutta cosa, soffrire di nevrosi simbiotica.