Salvato (anche quest’anno).
Giugno, 1980.
Ieri sera in sala prove, mentre preparavamo i pezzi che suoneremo tra qualche giorno alla festa al circolo degli ex marinai, una serata che abbiamo organizzato per un gruppo di anziani, qualche parente e un pugno di militari in pensione, mentre buttavamo giù la scaletta dei pezzi, un po’ di Lucio Dalla e Bennato, qualche brano dei Dire Straits e Rolling Stones, mentre Robi improvvisava un giro sulle corde della Les Paul, Ciccio batteva fuori tempo sul rullante e Antonello si aggrappava alla tastiera del basso, un basso brutto e mal ridotto che tutti chiamiamo La Zappa, ieri sera, mentre ero lì, chitarra in grembo e trafficavo per accendermene una, a un certo punto si è avvicinato Sandro, mi ha scroccato una Camel e mi ha detto:
– Ma tu, come te l’immagini il 2019?
Il 2019?
– Mancano trentanove anni, al 2019 – gli ho detto – non riesco a immaginarmi nemmeno il 1983. O il 1985. Figurarsi il 2019.
Sandro ha fatto sì con la testa.
– Oh, c’hai ragione – ha detto.
Poi, questa cosa di Sandro e del 2019, mi è tornata in mente stamattina, una di quelle mattine afose di giugno che quando a Cagliari fa così caldo e il cielo è sempre un po’ meno azzurro e si soffoca, l’unica salvezza è il Poetto, starsene un’ora a mollo e poi sdraiarsi sulla sabbia all’ombra di qualche casotto. Mi sono detto che non lo so proprio, come sarà il mondo nel 2019. Sarò vecchio, nel 2019, è l’unica cosa che so.
Un’altra cosa che so, è che oggi è una giornata di merda. Lo sapevo anche ieri, ma ora che sto qui a guardare la bacheca dove sono esposti gli esiti di fine anno scolastico, lo so con assoluta certezza.
Scorro fino alla penultima riga. Matematica: quattro. Filosofia: cinque. Rimandato a settembre. Matematica, e va bene, niente da dire. Ma Filosofia. Cinque. E che cazzo. Cartesio lo conosco quasi a memoria.
Così torno a casa. Mi chiudo in camera, prendo l’elettrica e mi metto a strimpellare. Due accordi. Sol maggiore e Fa maggiore. Poi un terzo. Re maggiore. Sempre gli stessi. In sequenza. E anche un La minore.
Cinque in filosofia, penso. Ma che cazzo.
Mi infilo una maglietta ed esco. Cammino fino al porto. Poi entro alla Casa del Disco. C’è Stefano alla cassa. Mi guarda con quel suo sguardo triste, velato da un mezzo sorriso ironico. Gli chiedo:
– L’ultimo di Bob Dylan è già arrivato?
Glielo chiedo con un’espressione così speranzosa e supplicante che a Stefano gli scappa una risata a monosillabo.
– Non ancora – mi dice – forse domani, chi lo sa.
Domani, penso. Cazzo.
– Forse stasera – fa lui sollevando le spalle.
Stasera, sospiro. Cazzo.
Il nuovo disco di Bob Dylan. Che s’è convertito al cristianesimo. Che canta Dio e Gesù. Che canta canzoni gospel. Che tra una canzone e l’altra fa discorsi sull’Armageddon e la potenza della Croce. Che sta due ore sul palco a suonare e cantare canzoni inedite. Che come a Newport la gente lo contesta, lo fischia e gliene dice di tutti i colori mentre lui è lì, davanti al microfono, impassibile, la chitarra a tracolla come se fosse un fucile. Bob Dylan che non canta più le canzoni del passato. Che nemmeno canta più le canzoni di “Street Legal”, uscito due anni fa.
Tutte queste cose le ho lette l’altro giorno sul nuovo numero di Ciao 2001, settecento lire, l’anno scorso ne costava seicentocinquanta, che già mi sembravano molte, seicentocinquanta, figurarsi settecento.
– Va bene – gli dico – allora passo stasera.
Al che Stefano scuote la testa, si mette a ridere, infila una mano sotto il bancone e tira fuori il nuovo disco di Bob Dylan.
“Saved”. Salvato.
Gli darei un bacio, a Stefano, per come mi fatto svoltare la giornata.
Non vedo l’ora di tornare a casa e di ascoltare il disco, non vedo l’ora di sentire la voce di Bob Dylan, ché qualsiasi cosa abbia deciso di cantare, a me sta bene. Sul serio, mi sta bene tutto: Dio, Gesù, il Paradiso, l’intero Vangelo. Non mi interessa. Voglio solo sentire le sue canzoni, la sua voce e la sua armonica. Nient’altro.
“Saved”. Salvato.
Fanculo matematica e filosofia. Fanculo Cartesio e fanculo giugno. E fanculo anche il 2019.
Poi, mentre corro verso casa, il disco in mano e i pensieri aggrovigliati, a un certo punto mi volto e non so come ma lo sguardo cade dritto sullo strillo di un quotidiano in edicola.
Dc-9 dell’Itavia con 81 persone s’inabissa in mare presso Ustica. Era partito ieri sera da Bologna diretto a Palermo.
Compro il giornale. Leggo gli articoli. Ma come può succedere che un aereo si inabissi così, senza un motivo? Leggo e rileggo. E non so perché, ma questa cosa di Ustica mi fa tornare in mente il 2019. Ci ripenso anche a casa, con il trentatré giri che suona le nuove canzoni di Bob Dylan.
Mi viene da pensare che nel 2019 il mondo sarà migliore. Sì, sarà migliore, dài. Nel 2019 gli aerei non cadranno più, non ci saranno più guerre, non ci saranno più ingiustizie e povertà, il PCI sarà il primo partito in Italia, Mick Jagger sarà il primo ministro britannico. Nel 2019 il Cagliari vincerà un altro scudetto, la disco music sarà morta da un pezzo, gli uomini non si ammaleranno più, nelle scuole si studieranno le canzoni di John Lennon, Bob Dylan sarà ancora in tournée. Mi viene da pensare che nel 2019 staremo tutti meglio.
E poi, nel 2019, lo sapremo già da un pezzo, perché quel Dc-9 si è inabissato.
Ma certo. Certo che lo sapremo, nel 2019.