Salvato (quarant’anni dopo).
Giugno 1980, mattina.
Ieri sera in sala prove, mentre preparavamo i pezzi che suoneremo tra qualche giorno alla festa al circolo degli ex marinai, una serata che abbiamo organizzato per un gruppo di anziani, qualche parente e un pugno di militari in pensione, mentre buttavamo giù la scaletta dei pezzi, un po’ di Bennato, qualcosa dei Dire Straits e dei Rolling Stones, e mentre Robi improvvisava un giro sulle corde della Les Paul e Ciccio batteva fuori tempo sul rullante e Antonello si aggrappava al manico del basso, un basso così mal ridotto che tutti chiamiamo La Zappa, ieri sera, mentre ero lì, chitarra in grembo e trafficavo per accendermene una, a un certo punto si è avvicinato Sandro. Mi ha scroccato una Camel e mi ha detto:
– Ma tu, come te l’immagini il 2020?
Il 2020?
– Mancano quarant’anni, al 2020 – gli ho detto – non riesco a immaginarmi nemmeno il 1983. O il 1985. Figurarsi il 2020.
Sandro ha fatto sì con la testa.
– Oh. Mi sa che hai ragione – ha detto.
Poi, questa cosa del 2020, mi è tornata in mente stamattina, una di quelle mattine afose di giugno che quando a Cagliari fa così caldo e il cielo è sempre un po’ meno azzurro e si soffoca, l’unica salvezza è il Poetto, starsene un’ora a mollo e poi sdraiarsi sulla sabbia all’ombra di qualche casotto. Mi sono detto che non lo so proprio, come sarà il mondo nel 2020. Sarò vecchio, nel 2020, è l’unica cosa che so.
Un’altra cosa che so, è che oggi è una giornata del cazzo. Lo sapevo anche ieri, ma ora che sto qui a guardare la bacheca dove sono esposti gli esiti di fine anno scolastico, lo so con assoluta certezza.
Scorro fino alla penultima riga. Matematica: quattro. Filosofia: cinque. Rimandato a settembre. Matematica, e va bene, niente da dire. Ma Filosofia. Cinque. E che cazzo. Cartesio lo conosco quasi a memoria.
Così torno a casa. Mi chiudo in camera, prendo l’elettrica e mi metto a strimpellare un paio di accordi sparsi, buttati alla rinfusa, senza una logica
Cinque in filosofia, penso. Ma che cazzo.
Mi infilo una maglietta ed esco. Cammino fino al porto. Poi entro alla Casa del Disco. C’è Stefano alla cassa. Mi guarda con quel suo sguardo triste, velato da un mezzo sorriso ironico. Gli chiedo:
– L’ultimo di Bob Dylan è già arrivato?
Glielo chiedo con un’espressione così speranzosa e supplicante che a Stefano gli scappa una risata a monosillabo.
– Non ancora – mi dice – forse domani, chi lo sa.
Domani, penso. Non me ne va bene una.
– Forse stasera – fa lui sollevando le spalle.
Stasera, sospiro. Be’, va già meglio.
Il nuovo disco di Bob Dylan. Che s’è convertito al cristianesimo. Che canta Dio e Gesù. Che canta canzoni gospel. Che tra una canzone e l’altra fa discorsi sull’Armageddon e la potenza della Croce. Che sta due ore sul palco a suonare e cantare canzoni inedite. Che come a Newport la gente lo contesta, lo fischia e gliene dice di tutti i colori mentre lui è lì, davanti al microfono, impassibile, la chitarra a tracolla come se fosse un fucile. Bob Dylan che non canta più le canzoni del passato. Che nemmeno canta più le canzoni di “Street Legal”, uscito due anni fa.
Tutte queste cose le ho lette l’altro giorno sul nuovo numero di Ciao 2001, settecento lire, l’anno scorso ne costava seicentocinquanta, che già mi sembravano molte, seicentocinquanta, figurarsi settecento.
– Va bene – gli dico – allora passo stasera.
Al che Stefano scuote la testa, si mette a ridere, infila una mano sotto il bancone e tira fuori il nuovo disco di Bob Dylan.
“Saved”. Salvato.
Gli darei un bacio, a Stefano, per come mi ha fatto svoltare la giornata.
Non vedo l’ora di tornare a casa e di ascoltare il disco, non vedo l’ora di sentire la voce di Bob Dylan, ché qualsiasi cosa abbia deciso di cantare, a me sta bene. Sul serio, mi sta bene tutto: Dio, Gesù, il Paradiso, l’intero Vangelo. Non mi interessa. Voglio solo sentire le sue canzoni, la sua voce e la sua armonica. Nient’altro.
“Saved”. Salvato.
Fanculo matematica e filosofia. Fanculo Cartesio e fanculo giugno. E fanculo anche il 2020.
Poi, mentre corro verso casa, il disco in mano e i pensieri aggrovigliati, a un certo punto mi volto e non so come ma lo sguardo cade dritto sullo strillo di un quotidiano in edicola.
Dc-9 dell’Itavia con 81 persone s’inabissa in mare presso Ustica. Era partito ieri sera da Bologna diretto a Palermo.
Compro il giornale. Leggo gli articoli. Ma come può succedere che un aereo si inabissi così, senza un motivo? Leggo e rileggo. E non so perché, ma questa cosa di Ustica mi fa tornare in mente il 2020.
Ci ripenso anche a casa, con il trentatré giri che suona le nuove canzoni di Bob Dylan.
Mi viene da pensare che nel 2020 il mondo sarà migliore. Sì, sarà migliore.
Ma certo.
Nel 2020 gli aerei non cadranno più, non ci saranno più guerre, non ci saranno più ingiustizie e povertà, il PCI sarà il primo partito in Italia, il Cagliari vincerà un altro scudetto, la disco music sarà morta da un pezzo, gli uomini non si ammaleranno più, nelle scuole si studieranno le canzoni di John Lennon, Bob Dylan sarà ancora in tournée.
Mi viene da pensare che nel 2020 staremo tutti meglio.
Ma certo.
E poi, nel 2020, lo sapremo già da un pezzo, perché quel Dc-9 si è inabissato.
Ma certo. Certo che lo sapremo, nel 2020.