Sangue, amore e grovigli di versi.
Il 20 gennaio del 1975, esattamente 45 anni fa, veniva pubblicato Blood on the tracks, album numero 15 della discografia ufficiale di Bob Dylan. È uno dei dischi più belli e più importanti incisi da Dylan. E la canzone che apre l’album, Tangled Up In Blue, è sicuramente una tra le migliori della sterminata collezione dylaniana. Qualche tempo fa, sulle pagine di un blog, riflettevo sui cambiamenti operati nel corso degli anni da Dylan su questo brano. È una canzone che a oggi, nonostante nell’ultimo anno e mezzo sia scomparsa dalla scaletta dei concerti, Dylan ha eseguito dal vivo 1685 volte (l’ultima il 28 agosto del 2018, a Christchurch, in Nuova Zelanda). Gli arrangiamenti non si contano nemmeno. E le riscritture, musicali e testuali, pure. Nel 2007, tanto per fare un esempio, Dylan si prese la briga di modificare un breve passaggio centrale della terza strofa, là dove nel testo si parla di New Orleans, poi di un piccolo borgo di pescatori nella Louisiana chiamato Delacroix e ancora di un misterioso peschereccio sul quale il protagonista della canzone trova un lavoro. Nell’arrangiamento di quell’anno, scompariva il riferimento a Delacroix e restava invece il peschereccio, il quale però – rispetto ai versi originari – veniva distrutto per ben tre volte. Non mancarono, da parte della nutrita cerchia di dylanologi, i caroselli di interpretazioni e di commenti. Che cosa stava a simboleggiare il nuovo peschereccio? Perché “destroyed three times”? E, soprattutto, distrutto da chi?
La ricchezza di simboli presenti in Tangled Up In Blue è parte della magia della canzone. Sono talmente tanti che si rischia di restare travolti e storditi. A leggere semplicemente il testo (che Dylan ha modificato, limato e corretto più volte nel corso degli anni) si ha l’impressione di avere a che fare con una classica storia d’amore finita male. Non a caso, è proprio nel 1974, anno di incisione del brano, che il matrimonio tra Dylan e la moglie inizia a sgretolarsi. L’intero album è intriso di una vena cupa e malinconica. Così lo descrive il musicologo Alan Rinzler: “È la cronaca fedele di un’unione in profonda crisi”. Per tutta risposta, Dylan ha sempre detto: “Non vedo come possa piacere tutta questa sofferenza”.
Dylan ha sempre negato che le canzoni dell’album avessero un qualche riferimento autobiografico: “Prendi You’re A Big Girl Now, be’, ho letto che questa canzone parlerebbe di mia moglie. Vorrei che la gente mi chiedesse il permesso prima di uscirsene con cose del genere”.
D’altro canto, uno dei figli di Dylan, Jakob (leader dei Wallflowers), una volta si è espresso così: “Mi piacciono molto i dischi di mio padre, li ascolto volentieri quasi tutti, ma Blood On The Tracks proprio no! Quel disco significa mio padre e mia madre che vanno in pezzi. Quale figlio ascolterebbe volentieri un album del genere?”.
Tangled Up In Blue, quindi, potrebbe raccontare di una storia d’amore. Ma è anche una storia che mantiene ben visibili sullo sfondo i sogni infranti di un’intera generazione nell’America di Woodstock e della controcultura, la generazione degli anni sessanta e settanta. Anzi, se volessimo leggerla come un’unica grande metafora, la canzone potrebbe proprio essere La storia di quei mitici anni, di ciò che significarono per milioni di giovani e anche per lo stesso Dylan, spesso e inutilmente sollecitato a ricoprire il ruolo di Profeta, veste che lui – con giusta e comprensibile irritazione – ha sempre rifiutato. Spingendoci ancora oltre, la canzone potrebbe descrivere i motivi della rottura, in quegli anni, tra lo stesso Dylan e i Movimenti politici e pacifisti che avevano chiesto all’artista di impegnarsi per la causa, per la pace e contro la guerra nel Vietnam. Motivi che, se dessimo per buona questa versione, Dylan sintetizza negli ultimi versi del brano: “abbiamo sempre provato le stesse cose, solo che le vedevamo da un punto di vista differente, aggrovigliati nella tristezza”.
Dylan non ama parlare spesso delle sue canzoni. Ma ogni tanto ci regala qualche squarcio di luce, attraverso cui possiamo tentare di interpretare la sua opera. Ecco che cosa ha detto una volta in merito a Tangled Up In Blue.
“Stavo solo cercando di scriverla come se fosse un quadro in cui tu puoi vedere le diverse singole parti ma puoi anche vedere il totale del dipinto. Con quella canzone, in particolare, era quello che stavo cercando di fare… con il concetto di tempo, e il modo in cui i personaggi cambiano dalla prima persona alla terza persona, e non sei mai sicuro del tutto se stia parlando la terza o la prima. Ma quando getti uno sguardo d’insieme al totale non ha molta importanza”.
Certo, non è che l’autore abbia dato un grande contributo in termini di chiarezza. Bisogna indagare ancora.
Puoi esserci d’aiuto, allora, sapere che le canzoni di Blood on the tracks sono nate e cresciute in un periodo artistico che lo stesso Dylan ha definito “travagliato”, o qualcosa del genere.
“L’album – ha scritto il critico musicale Cameron Crowe – deriva molto del proprio stile dall’interesse di Dylan per la pittura. Le canzoni affondano in profondità e il loro senso della prospettiva e della realtà è in continuo mutamento”.
Per usare ancora le parole di Dylan: “Nel disco ho cercato non solo di fare in modo che il passato, il presente e il futuro esistessero tutti, ma anche che fossero tutti presenti nello stesso momento. Tu hai ieri, oggi e domani tutti nello stesso spazio e c’è molto poco che non puoi immaginarti succeda”.
Queste teorie sullo spazio e sul tempo Dylan le aveva elaborate frequentando a New York un corso di pittura tenuto da un personaggio alquanto stravagante, Norman Raeben, nato in Russia nel 1901, figlio del famoso scrittore Yiddish Sholem Aleichem (1859-1916), meglio conosciuto per aver creato le storie di Tewje il Lattivendolo. Bob Dylan, in passato, non ha esitato a definire Norman Raeben una persona speciale. “Non c’è nessuno come lui”, ha detto.
Il cambiamento più importante, derivato dai mesi che Dylan aveva passato nello studio di Raeben, riguardava la maniera in cui aveva cominciato a comporre i testi delle nuove canzoni. Ancora parole di Dylan: “Tutti furono concordi nel dire che quel mio album era un qualcosa di davvero diverso dal solito, e quel che era diverso era il fatto che esisteva un codice nei testi, ed anche che non esisteva il senso del tempo”.
Cosa c’entra tutto questo con una storia d’amore? Tangled Up In Blue è davvero soltanto una canzone che racconta il fallimento di una relazione sentimentale? O, come al solito, è Dylan che si diverte a mescolare le carte in tavola per farci vedere qualcosa che non esiste?
C’è chi ha preso molto sul serio la questione dei simboli che appaiono e scompaiono all’interno del brano. E ne ha tratto conclusioni di certo un po’ bizzarre.
Secondo un gruppo di studiosi ed esperti (tra i quali l’italiano Nicola Menicacci, autore del volume “Bob Dylan, L’ultimo cavaliere”, edizioni Hermatena 2005), in tutto il disco c’è un’abbondanza, senza precedenti nell’opera dylaniana, di messaggi cifrati. Anzi, sotto questo aspetto Blood on the tracks sarebbe proprio uno degli album di Dylan più importanti. E vi si troverebbe un vero e proprio codice simile a quelli che si potevano trovare nei quadri di Leonardo da Vinci, Botticelli o Nicolas Poussin. L’opera di Dylan, insomma, nasconderebbe degli indizi attraverso i quali, dietro simboli apparentemente normali, è possibile tramandare un messaggio esoterico alle generazioni future. L’album in questione sarebbe “un lungo viaggio all’interno del pensiero gnostico e di quelle correnti che la Chiesa di Roma aveva definito eretiche, perché minacciavano i fondamenti sulla quale essa stessa si fondava”.
Letta così, la canzone celerebbe dunque il racconto della storia d’amore tra Gesù e Maddalena, estendendo il cosiddetto tema della Sposa Perduta, The Lost Bride. La donna alla quale il personaggio principale sta pensando all’inizio del brano sarebbe proprio Maria Maddalena, discendente della tribù dei Maccabei, la sposa devota di Cristo, non una semplice prostituta, come afferma il cattolicesimo ufficiale, ma la madre dei figli di Gesù. E tutta la canzone ruoterebbe attorno a simboli e messaggi cifrati ben precisi, per raccontare, con una struttura abbastanza complessa, la vicenda di Maddalena (la sposa) costretta ad andarsene e a rimanere separata da Gesù (il suo uomo).
Ci sono i capelli della donna, capelli rossi, colore associato alla nobiltà e alla fecondità. Si parla di un matrimonio, di una separazione e di una fuga (quella di Gesù sopravvissuto alla crocifissione?) verso Ovest (in Francia?), in una notte buia. C’è il peschereccio (eccolo!). Ed è noto che i pesci fossero un messaggio in codice per i primi cristiani che si incontravano clandestinamente nelle catacombe. C’è il borgo di Delacroix (altro indizio, Delacroix in francese vuol dire Della Croce). C’è la ragazza che lavora al topless bar che si china per allacciare le scarpe al protagonista. Una posizione che ricorda da vicino la Maddalena che lava i piedi a Gesù. E così via.
L’intero album, con canzoni dalle liriche molto più sibilline di Tangled Up In Blue, rimanderebbe dunque a numerosi concetti chiave delle principali teorie esoteriche. “Nel doppio fondo delle liriche di un matrimonio in disfacimento”, scrive Nicola Menicacci, “si nasconde un mistero vecchio di duemila anni”. Ovviamente, Dylan – secondo i sostenitori di tali interpretazioni – non si sarebbe limitato a sparpagliare gli indizi massonici solo nell’album in questione, ma avrebbe disseminato altri codici e segni cifrati in buona parte della discografia, almeno sino alla metà degli anni ottanta.
Esagerazioni? Forzature? Coincidenze? Stupidaggini? Forse sì, forse no, chi lo sa.
Di certo, come ha scritto Michael Gray, “non so come, ma un qualche aggiustamento della nostra consapevolezza dovrà ora derivare dal fatto che Dylan, con Blood On The Tracks, ha prodotto uno degli album più incredibilmente intelligenti degli anni settanta”.