Prologo
Tribunale.
Interno/mattina.
Brusio. Voci di sottofondo. Primo piano del Cancelliere.
– Signori, la Corte!
Silenzio nell’aula. Il pubblico in piedi.
La porta si apre accompagnata da un lungo cigolio.
È mezzogiorno, ma fa freddo.
Eccola, la Corte.
Tre giudici in toga nera. Entrano con passo misurato. Si siedono lentamente dietro un banco di legno scuro, alto e solenne come un monumento.
Al centro prende posto il Giudice Supremo.
È anziano, il viso rugoso e gli occhi cerulei e severi.
Sotto il cappello spuntano ciuffi bianchi e ribelli. Gli tremola una mano.
Alla sua destra siede il Giudice Sinistro, uomo calvo, di mezz’età, dal naso adunco e le orecchie grandi come padelle.
Alla sinistra del Giudice Supremo siede infine il Giudice Destro, il più giovane dei tre, paffutello, le labbra carnose e una fossetta sul mento che sembra un culo in miniatura.
Anche gli avvocati e la pubblica accusa prendono posto.
– Imputato! – urla il cancelliere. – Si alzi!
L’imputato si alza a fatica, i muscoli delle gambe sono rattrappiti. Si sorregge sui gomiti e si rivolge al Giudice Supremo.
– Vostro Onore – dice.
Lui lo guarda impassibile.
– Imputato! – urla nuovamente il cancelliere. – Si dichiara colpevole?
L’imputato prende fiato. Lotta con un fastidioso senso di stordimento.
– Sì, – dice, – ma si è trattato di legittima difesa.
Il tono della sua voce è malinconicamente ironico.
Primo piano dell’imputato.
Dissolvenza in nero.
Musica.
Titoli di testa.